Italia, un altro fallimento: non è più il tempo delle solite scuse

  Senza gioco, senza carattere, senza un’idea, senza un lampo. Senza onore. Senza scuse. L’Italia, dopo aver fallito la partecipazione ai Mondiali per due volte di seguito, esce dall’Europeo umiliata dagli avversari, contestata dai tanti tifosi in Italia e da quelli che erano a Berlino, in gran parte emigrati che chiedevano almeno impegno e determinazione, due parole che andrebbero sempre indossate, insieme alla maglia azzurra, da chi va in campo. In quattro partite, se togliamo mezz’ora del primo tempo contro l’Albania, non s’è visto niente di quanto ci aspettavamo. Niente di quanto era stato programmato. Quattro partite che insieme hanno scritto una delle pagine più avvilenti del nostro calcio. Veniamo da due eliminazioni dai campionati del mondo. Non può essercene una terza. Non è accettabile che questo Europeo mortificante venga derubricato a incidente di percorso. Bisogna partire dal fallimento a cui abbiamo assistito, perché di fallimento si tratta, se si vuole avere una qualche possibilità di arrivare al Mondiale americano tra due anni. 

  Dopo la sconfitta con la Macedonia del Nord che cancellò l’Italia dal torneo in Qatar non successe nulla. Venivamo dall’Europeo vinto a Wembley. E sotto quell’ombrello la Federcalcio si riparò dalla grandine. Oggi non è più possibile. Sono rimasti i tanti problemi strutturali e alle spalle non abbiamo un trionfo come avevamo allora, ma un altro disastro sportivo. Per parafrasare Spalletti: momenti forti, decisioni forti. Il ct, chiamato per essere lui il “top player” di una squadra che ne ha pochissimi, non è riuscito a dare alla Nazionale una fisionomia tecnica. Ma non è riuscito nemmeno a trasferire ai giocatori che ha scelto la determinazione, la voglia di battersi. Spenti, inermi, confusi, sono apparsi arrendevoli anche di fronte a formazioni che francamente non sono armate invincibili. Abbiamo assistito a una girandola di cambiamenti tattici, di grovigli tecnici, di sostituzioni e ripensamenti, che hanno finito per confondere chi è andato in campo. Il risultato è stato uno spettacolo deprimente che non rispecchia i valori del nostro calcio. In discussione non sono le capacità di un allenatore che nelle squadre di club, in Italia e all’estero, ha vinto esprimendo sempre un calcio di qualità. In discussione, dopo questo Europeo, c’è la sua adattabilità al ruolo di commissario tecnico.

  Guidare la Nazionale e prepararla per un torneo che dura poche settimane è molto diverso dal guidare una squadra di Serie A e prepararla per un campionato lungo dieci mesi. Spalletti è stato chiamato da Gravina dopo che Mancini aveva lasciato improvvisamente in un momento delicato per la Nazionale. Il tempo a disposizione del ct non è stato molto, è vero, ma neanche pochissimo. Soprattutto rispetto al nulla che si è visto in Germania. Appellarsi poi sempre al campionato che non regala tecnicamente granché ha il sapore della scusa e ha stancato, semplicemente perché non è vero. Non abbiamo fenomeni, a parte Donnarumma? Può darsi. Perché invece la Svizzera di quali fenomeni dispone mai? Nessuno, mi pare. Eppure i giocatori sapevano cosa fare. Xhaka non ha disputato nel Bayer Leverkusen meno partite di Barella, eppure andava al doppio della velocità. Freuler, Ndoye, Rodriguez, Aebischer sembravano scesi da un altro pianeta calcistico. In due settimane a questa squadra non è mancato soltanto il gioco, ma anche un’anima. Dopo il gol di Zaccagni a sette secondi dalla fine che ha mandato l’Italia agli ottavi buttando fuori Modric e la sua Croazia, abbiamo sperato che lo stellone azzurro si fosse improvvisamente riacceso e con lui pure la Nazionale. Ma la fortuna bisogna meritarsela. Evidentemente non era questo il caso.

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