L’America si sveglia ancora una volta con l’odore di polvere da sparo e il sangue dei suoi figli. Alla vigilia delle festività natalizie, il terrore ha colpito la Abundant Life School di Madison, Wisconsin. Una studentessa di 15 anni, Natalie Rupnow, conosciuta anche come Samantha, ha sparato con una pistola 9 mm, uccidendo un insegnante e un compagno di scuola prima di togliersi la vita. Le autorità, intervenute in tempi record grazie a un’esercitazione della polizia nelle vicinanze, hanno confermato anche sei feriti, di cui due adolescenti in gravi condizioni.
Il capo della polizia Shon Barnes, con voce incrinata, ha dichiarato: “Oggi preghiamo per l’intera comunità di Abundant Life. Le vittime non sono solo quelle che hanno perso la vita, ma ogni studente, ogni famiglia.” Ma le preghiere, in un Paese che nel 2024 ha contato 403 sparatorie di massa, appaiono sempre più vuote. La tragedia di Madison non è isolata: poche settimane fa, in California, un altro istituto cristiano era stato colpito, con due bambini feriti e l’assalitore morto suicida.
Il filo che lega questi episodi è sempre lo stesso. Negli Stati Uniti, l’80% delle armi utilizzate dagli studenti per sparatorie proviene dalle case di parenti o amici. Un dato che svela l’ineluttabilità della violenza in un Paese con 400 milioni di armi da fuoco in circolazione. La responsabilità, come sempre, si diluisce tra un sistema legislativo che idolatra le armi, un tessuto sociale lacerato e una politica incapace di risposte strutturali.
E mentre il sangue macchia i corridoi delle scuole, il freddo paralizza la vita nelle strade.
Più di 100 milioni di americani sono stati investiti da un’ondata di gelo estremo, con temperature percepite fino a -51 gradi. Le conseguenze si sono riversate in ogni angolo del Paese: blackout diffusi, infrastrutture al collasso, vittime che si aggiungono a un bilancio sempre più insostenibile. Il clima non è un’anomalia temporanea, è la manifestazione di un mondo in disequilibrio che gli Stati Uniti, con il loro ruolo globale, non possono più ignorare. Ma la risposta della politica è, come spesso accade, inefficace e tardiva.
A tutto questo si somma il clima avvelenato che precede le elezioni presidenziali del 2024. Joe Biden, in difficoltà crescente, ha scelto la via della retorica difensiva. Ha parlato di democrazia in pericolo, accusando Donald Trump di incarnare la più grande minaccia per l’America. Ma ogni attacco al tycoon rischia di rafforzarlo. Trump non è solo l’uomo della rivincita: è il volto di un movimento che rifiuta l’ordine tradizionale e trova nella polarizzazione la sua linfa vitale.
Biden, dal canto suo, deve guardarsi dalla frattura sociale che si allarga e rispondere a un elettorato sempre più diffidente.
Il confine tra sicurezza interna e minaccia terroristica resta un equilibrio fragile. L’esplosione sul Rainbow Bridge, al confine tra Stati Uniti e Canada, ha riacceso l’incubo di un terrorismo pronto a colpire. Un’auto carica di esplosivo è saltata in aria, causando due morti e ferendo un agente di frontiera. Se l’incidente verrà archiviato come “isolato”, la sua simbologia è tutt’altro che irrilevante: la stabilità dei confini nordamericani, spesso data per scontata, resta vulnerabile.
In questo scenario, ogni evento è una crepa che rischia di allargarsi. Il gelo non è solo climatico, ma attraversa la politica e la società. Le sparatorie nelle scuole non sono più episodi tragici, ma un rito ciclico che l’America non sa fermare. La minaccia terroristica non è un ricordo lontano, ma una presenza che si riaffaccia quando meno la si attende.
Il mosaico americano, oggi, è un’immagine di fragilità e contraddizione. Joe Biden affronta una sfida impossibile: ristabilire l’ordine in una nazione divisa, rispondere a un’emergenza climatica che si aggrava e fermare un nemico che abita già dentro le sue case, tra pistole custodite male e armi regalate come giocattoli. L’America, però, non si ferma. Il mondo osserva, perché ogni tragedia, ogni strappo sociale, ogni lotta politica oltre oceano, alla fine, riguarda tutti noi.