La legge elettorale sarda, nata nel 2013 con la promessa di stabilità e governabilità, ha prodotto l’effetto opposto: astensionismo record e decine di migliaia di voti finiti nel nulla. Per correggere questa stortura, diversi movimenti e partiti hanno avviato una campagna referendaria per modificarla. Il primo incontro pubblico si terrà il 15 marzo a Bauladu, presso il centro civico culturale in piazza Emilio Lussu.
Danilo Lampis, di 'Sardegna chiama Sardegna', sottolinea come nel 2024 circa 70mila voti siano rimasti senza rappresentanza a causa delle soglie di sbarramento imposte dalla normativa attuale. E l’astensionismo? Quasi un sardo su due ha rinunciato al voto, sintomo di una sfiducia crescente verso il sistema.
L’iniziativa referendaria punta a una riforma elettorale basata sulla proporzionale pura, l’abolizione del voto disgiunto e un riequilibrio della rappresentanza territoriale e di genere. L’attuale Consiglio regionale, a forte predominanza maschile, viene indicato come un’anomalia inaccettabile nel 2025.
A sostenere la campagna referendaria c’è un fronte ampio che include Sinistra Futura, Sardegna Possibile, Liberu, Rifondazione Comunista, Sardigna Natzione Indipendentzia, Potere al Popolo, oltre a comitati anti-eolico come Quartu No Tyrrhenian Link e Su Entu Nostu. Una coalizione eterogenea, ma compatta nell’intento di ridisegnare le regole del gioco elettorale.
Resta da vedere se il referendum avrà una possibilità concreta di successo. Le resistenze istituzionali sono prevedibili: tra cavilli burocratici, quorum da raggiungere e possibili ricorsi, il cammino sarà accidentato. Ma la sfida è lanciata, e la risposta dei cittadini sarà decisiva per capire se esista ancora spazio per una democrazia più rappresentativa in Sardegna.