I racconti di Tonio Mura Ogno di un Alghero perduta: Lo forn de cià Valeria

Una storia vissuta e raccontata da Tonio mura Ogno. ~Lo forn de cià Valeria~ La sveglia era prima dell’alba e con la pasta lievitata si confezionava lo pa punyat, 5 anche 6 pani. Un panno bianchissimo foderava lo canistru, dove veniva depositato il pane. Un altro panno, candido come la neve, lo copriva. Si usciva di casa che era ancora buio e si raggiungeva il forno a legna, a meno di 50 metri. Oggi, esattamente in quel locale di via Ardoino, a due passi dal palau gitat, si trova una famosa birreria. La maestria del fornaio era impressionante e il profumo buono del pane cotto invadeva la via e anche piazza Ginnasio. Dopo qualche ora si andava a ritirare il pane, che doveva durare tutta la settimana, praticamente un pane al giorno, anche di meno. Quando il pane cominciava ad indurire si bagnava nel brodo della copazza di pesce, pescato da uno scoglio sotto la Torre di Sulis, o nel caffelatte a base di Miscela Leone. Poi da Piazza Ginnasio ci spostammo al Carrer de las monjas, via S.Erasmo. Il forno era in via Ospedale e stavolta il fornaio era una fornaia gigante: cià Valeria. Io ero un ragazzino di sette/otto anni, che passava più tempo in strada che a casa, sempre disponibile a fare le commissioni, pena un angiu de sinta. Di pane mamma non ne impastava più, presa come era ad accudire mia sorellina e tutte le altre faccende domestiche. Tonio, ves i compra una coca. Era il pezzo migliore di cià Valeria, la focaccia. Bisognava fare subito, prima che venissero tutte vendute. In strada cercavo altri due o tre amichetti, magari con lo stesso compito, e quello che ci accingevamo a fare era un’esperienza indimenticabile, un misto di malizia, fantasia e erotismo. Cià Valeria era una donna enorme, con una maglietta bianca che a stento conteneva i suoi seni grandi come due angurie. Sudavamo noi, che aspettavamo le focacce senza far niente, figuriamoci cià Valeria. La fronte era sempre bagnata, e non solo la fronte. La maglietta era inzuppata di sudore e in trasparenza lasciava intravedere la forma dei capezzoli, liberi dal reggiseno. Una calamita per i nostri occhi, che non sapevano staccarsi da quella visione, anticipatrice di ben altri e più completi desideri adolescenziali. Ritrovai cià Valeria una ventina di anni dopo, durante il trasporto in Ape 50 di una scrofa in calore di cui se mi viene vi racconterò. Viveva con un pastore nei ruderi del Lazzaretto e appena mi vide mi riconobbe. Era bella cià Valeria, anche avanti negli anni, disinvolta e libera. Era generosa, in tutti i sensi, e a noi bambini ha fatto tanto bene, regalandoci di tanto in tanto un altro pane, quello che ha il sapore della vita. Illustrazione di Luciana Briganti Rosnati

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