La Sardegna continua a vivere il paradosso di un popolo che si spegne lentamente, schiacciato dalla povertà, dall’isolamento e dall’abbandono. Mentre ieri un uomo senza tetto moriva a Cagliari, vittima dell’indifferenza, 40 migranti sbarcavano a Olbia dalla Ocean Viking, con un carico di storie drammatiche che verranno distribuite in varie città dell’isola.
Tra i nuovi arrivati, 28 minori non accompagnati e donne in stato avanzato di gravidanza, ospitati tra Sassari, Oristano e Nuoro, mentre Cagliari accoglierà in totale dodici persone. Una situazione gestita dalla Prefettura in base alla disponibilità di strutture, ma che non riesce a nascondere un problema più grande, quello di una Sardegna che vive male, molto male.
Il cuore dell’isola è stanco. Disperato. Mentre ci sobbarchiamo il peso di accogliere chi arriva dal mare, continuiamo a ignorare il nostro popolo, che combatte una guerra quotidiana contro la povertà, la disoccupazione e la mancanza di prospettive. Se il lavoro deve essere la base della nostra vita, come ci insegna la nostra coscienza storica, perché non si migliorano le condizioni di chi è già qui? Perché non si restituisce dignità ai sardi, prima di tutto?
L’immigrazione controllata, spesso giustificata come necessaria per riempire i campi di lavoratori, non è forse una scusa per perpetuare un sistema di sfruttamento? Non sarebbe più giusto creare condizioni lavorative dignitose per chi vive già sull’isola, dando ai sardi quella possibilità che ora si nega in nome di una presunta emergenza?
La Sardegna, che ha già dato tanto, sembra dimenticata, lasciata al suo destino mentre nuovi carichi di disperazione si aggiungono a una terra che non riesce più a sostenere il peso della sua stessa storia. Non si tratta di negare la solidarietà, ma di pretendere che questa parta prima da casa nostra, dalle nostre strade, dalle nostre piazze, dove il disagio e l’abbandono continuano a mietere vittime.
Un senzatetto morto di solitudine e indifferenza dovrebbe essere il simbolo di un fallimento. Il nostro.