Quattro mesi. È tutto ciò che resta. Quattro miseri mesi d’acqua prima che le fonti si prosciughino, prima che i rubinetti tacciano del tutto, consegnando alla polvere ciò che un tempo era vita. Non è un’emergenza, dicono. Non è una crisi passeggera. È una condanna che questa terra si porta addosso da sempre, come un destino crudele che nessuno osa davvero affrontare.
Da lunedì 27 gennaio, in quindici comuni del Nuorese, l’acqua verrà erogata a giorni alterni. A Nuoro, Bolotana, Fonni, Gavoi, Mamoiada, Orgosolo e negli altri centri serviti dall’acquedotto di Jann’e Ferru, la vita si piegherà ancora una volta alle logiche della scarsità. I serbatoi di Olai e Govossai, a stento capaci di trattenere 4 milioni di metri cubi d’acqua, sono ormai simboli di un fallimento collettivo, di una miopia che dura da decenni.
Nelle stanze del potere, i tecnici discutono di zattere per attingere acqua sotto il livello critico, di interconnessioni tra invasi, di pompe che spingono l’acqua verso il potabilizzatore di Jann’e Ferru.
L’assessora all’Ambiente, Rosanna Laconi, parla di cambiamento climatico, di mitigazione, di piani per adattarsi a una realtà che non lascia spazio alla speranza. Ma cosa significa tutto questo per chi vive ogni giorno l’angoscia di un rubinetto asciutto?
A Nuoro, tra i tavoli delle riunioni, si è parlato di censimenti, di mappature, di strategie per distribuire equamente un bene che equo non è mai stato. Intanto, Dorgali e Oliena si salvano grazie alla sorgente di Su Gologone, mentre gli altri osservano, impotenti, il livello dell’acqua scendere, lentamente ma inesorabilmente.
Questa è una crisi di dignità. È la rabbia di chi sa che si poteva fare di più, di chi si sente abbandonato da uno Stato che guarda altrove. Si parla di risorse, di progetti, di grandi piani per il futuro, ma intanto il presente si sgretola sotto il peso della siccità e della burocrazia.
La Sardegna è anche questa realtà aspra, fatta di pastori, agricoltori, famiglie che lottano ogni giorno contro un sistema che sembra voltare loro le spalle. "Non abbiamo alternative," dice l’assessora Laconi. Ma l’alternativa c’era, e c’è ancora: avere il coraggio di guardare in faccia il problema, di trattare l’acqua non come un lusso, ma come un diritto.
I meteorologi parlano di piogge imminenti ma non intense, gli occhi restano fissi al cielo, in un’attesa che somiglia troppo a una supplica. Quattro mesi, dicono. E poi? Poi sarà il nulla. O peggio, la consapevolezza che non è l’acqua a mancare, ma la volontà di cambiarne il destino.