C’era una volta la scuola come luogo di formazione del pensiero critico. Oggi, invece, è diventata il tempio dell’ortodossia progressista, dove il dissenso non viene discusso, ma zittito con sanzioni. A Verona, un ragazzino di 13 anni ha osato non conformarsi all’ideologia dominante, rifiutandosi di calpestare una scala arcobaleno, dipinta per "sensibilizzare sull’inclusione". Per questo, ha ricevuto una nota disciplinare.
L’istituto ha provato a giustificarsi: «Punito per aver messo a rischio la sua sicurezza, non per le idee». Una spiegazione che suona come un maldestro tentativo di insabbiare l’evidenza: il ragazzo ha espresso il suo dissenso e, invece di avviare un dibattito, la scuola ha preferito punirlo. Un tredicenne ha avuto il coraggio di rifiutare un simbolo che non riconosce, di non inginocchiarsi al pensiero unico. E invece di discuterne, gli adulti presenti hanno scelto la strada della sanzione.
I genitori hanno giustamente definito «inaccettabile» la punizione e si sono rivolti al ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, affinché faccia chiarezza su un episodio che getta ombre inquietanti sulla libertà di pensiero nelle scuole italiane. Il deputato leghista Rossano Sasso ha rincarato la dose: «Non possiamo voler inculcare nei giovani, a forza, la cultura gender». Parole sacrosante. Ma, come al solito, la sinistra reagisce ridicolizzando la vicenda, minimizzandola, accusando di "strumentalizzazione" chiunque osi metterne in discussione il dogma.
A dare manforte alla punizione è stato anche l’assessore comunale ai diritti umani di Verona, Jacopo Buffolo, secondo il quale «si sta cercando di sollevare un caso intorno a un episodio scolastico costruito su una narrazione strumentale». Classico schema: quando i fatti non si adattano alla narrazione progressista, diventano automaticamente "strumentali". Il problema, però, rimane: un tredicenne è stato punito per aver rifiutato di aderire a un simbolismo imposto dall’alto.
Ecco il punto centrale della questione: i diritti si conquistano, non si impongono. Quando diventano obblighi, si trasformano in una dittatura. Oggi, chi dissente viene emarginato, ridicolizzato o punito. E domani? Una scuola che impone ai ragazzi di aderire ad un’ideologia unica non è una scuola: è un campo di rieducazione. Qualcuno ha il coraggio di dirlo?