Bruno Pizzul, la voce del calcio italiano: storia, stile e eredità di un maestro della telecronaca

Il 5 marzo 2025 si è spento Bruno Pizzul, a pochi giorni dal suo 87º compleanno. Con lui se ne va un pezzo di storia del giornalismo sportivo italiano, una voce che ha accompagnato per decenni le emozioni degli italiani, soprattutto nelle notti mondiali ed europee, quando il pallone azzurro diventava il centro di gravità nazionale. La sua sobrietà, la sua eleganza, la sua capacità di raccontare il calcio con una compostezza mai fredda né distante, ma sempre misurata e coinvolgente, ne hanno fatto un’icona unica e irripetibile.

Bruno Pizzul nacque a Udine l’8 marzo 1938 e sin da giovane il calcio rappresentò il suo grande amore. Dopo gli anni nelle giovanili della Cormonese e della Pro Gorizia, nel 1958 venne acquistato dal Catania, con cui esordì nel calcio professionistico. Successivamente militò nell’Ischia, nell’Udinese e infine nella Torres. La sua carriera da calciatore, tuttavia, fu breve: un grave infortunio al ginocchio lo costrinse al ritiro anticipato.

Fu in quel momento che la sua storia prese un’altra direzione, perché, oltre al pallone, Pizzul coltivava una solida formazione culturale. Laureato in giurisprudenza, divenne insegnante di lettere e italiano alle scuole medie. Ma il destino aveva in serbo per lui un altro percorso.

Nel 1969 partecipò e vinse un concorso per radiotelecronisti indetto dalla Rai. Quel giorno segnò l’inizio di una carriera che lo avrebbe portato a diventare non solo la voce della Nazionale italiana, ma anche uno dei giornalisti sportivi più amati e rispettati del Paese.

L’8 aprile 1970 Pizzul debuttò ufficialmente come telecronista Rai, commentando lo spareggio di Coppa Italia tra Juventus e Bologna. Da quel momento, la sua ascesa fu costante. Il suo stile sobrio e la sua profonda conoscenza del gioco lo resero subito un riferimento per il giornalismo sportivo televisivo.

Nel 1986, con il Mondiale in Messico, divenne la voce ufficiale della Nazionale, prendendo il testimone dal leggendario Nando Martellini. Da allora, raccontò cinque Campionati del Mondo (Messico 1986, Italia 1990, USA 1994, Francia 1998, Corea e Giappone 2002) e quattro Campionati Europei (1988, 1992, 1996 e 2000), accompagnando gli italiani nelle gioie e nelle delusioni della Nazionale.

Fu lui a narrare l’Italia di Vicini che arrivò a un passo dalla finale mondiale nel 1990, l’Italia sfortunata di Sacchi nel 1994 che perse ai rigori contro il Brasile, l’Italia bella ma fragile di Cesare Maldini nel 1998. Fu ancora lui a raccontare il trionfo mancato dell’Italia di Zoff nel 2000, quando Wiltord e Trezeguet infransero il sogno europeo a pochi secondi dal traguardo.

Il suo ultimo grande torneo con la Nazionale fu il Mondiale del 2002, l’amaro epilogo dell’era Trapattoni, segnato dalla discussa direzione arbitrale di Byron Moreno contro la Corea del Sud.

La voce di Pizzul era riconoscibile all’istante. Il suo timbro baritonale, la dizione perfetta, la cadenza elegante, ma soprattutto il suo approccio al commento lo resero un’icona del giornalismo sportivo. In un’epoca in cui la telecronaca era spesso enfatica, Pizzul si distingueva per il suo equilibrio: mai eccessivo, mai urlato, sempre composto e ironico al punto giusto.

Non si lasciava andare a esclamazioni teatrali, non era un telecronista da slogan o da iperboli forzate. Raccontava il calcio con una naturalezza disarmante, senza bisogno di artefatti. Era il narratore perfetto per un pubblico che amava vivere la partita con la passione che lo sport merita, ma senza perdere mai l’eleganza.

Celebri erano i suoi modi di esprimere il disappunto: "Mah, non benissimo" o "Sfortunata la nostra Nazionale", che in realtà nascondevano un profondo coinvolgimento. Era un tifoso misurato, mai fazioso. Quando l'Italia subiva un gol o un torto arbitrale, il suo tono si abbassava leggermente, si faceva più riflessivo, quasi paterno, trasmettendo agli spettatori un senso di rassegnata accettazione.

Pizzul non fu solo calcio. Nel corso della sua carriera commentò numerosi sport, dalla boxe al tennis da tavolo, dalle bocce al canottaggio. Nel periodo 1971-1976 fu la voce ufficiale delle telecronache di canottaggio.

Condusse per anni "Domenica Sprint" e successivamente prese il timone della "Domenica Sportiva", due programmi storici della Rai che lo consacrarono come volto familiare per milioni di italiani.

Nel 1985 si trovò a raccontare una delle pagine più tragiche della storia del calcio: la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, segnata dalla strage dell’Heysel. In quell’occasione, mentre gli scontri tra tifosi inglesi e italiani causavano la morte di 39 persone, Pizzul riuscì a mantenere un tono composto e rispettoso, raccontando la tragedia con la dignità che il momento richiedeva.

Con l’avvento della televisione commerciale e del giornalismo sportivo urlato, Pizzul divenne sempre più una rarità. Non amava gli eccessi, non rincorreva il clamore mediatico. In una delle sue ultime interviste dichiarò con ironia: "I telecronisti di oggi sono bravi, ma parlano troppo".

La sua eredità non è fatta solo di telecronache, ma di un modo di intendere il giornalismo sportivo che sembra appartenere a un’altra epoca: fatta di misura, di cultura, di rispetto.

Non si può dire che Pizzul sia stato solo una "voce". Era molto di più. Era il racconto di un calcio che non c’è più, di un’Italia che si emozionava davanti a una tv ancora analogica, quando la voce di un telecronista diventava il filo che univa un’intera nazione.

Oggi l’Italia saluta Bruno Pizzul con la consapevolezza che un’epoca si è definitivamente chiusa. Con lui se ne va un pezzo di storia, un giornalista che non ha mai ceduto alla tentazione della spettacolarizzazione e che, fino all’ultimo, ha mantenuto quella cifra stilistica inimitabile che lo ha reso una leggenda.

Per chi ha vissuto le notti mondiali e gli europei con la sua voce in sottofondo, Bruno Pizzul non sarà mai solo un ricordo. Sarà sempre l’eco lontano di un calcio raccontato con classe, l’ultima voce che seppe farci emozionare senza bisogno di gridare.

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