Una vertenza lunga, complessa e ancora lontana da una soluzione. Il futuro del Porto Canale di Cagliari torna al centro del confronto tra istituzioni e parti sociali, con l’incontro avvenuto ieri nella sede dell’Assessorato dell’Industria tra i rappresentanti sindacali e gli assessori regionali Emanuele Cani (Industria) e Barbara Manca (Trasporti).
Sul tavolo, la preoccupazione per la concessione della banchina principale, in scadenza a giugno, e l’assenza di un piano occupazionale concreto, in grado di restituire prospettive a decine di lavoratori ancora in una condizione di precarietà o espulsi dal ciclo produttivo. I sindacati chiedono un rilancio credibile del transhipment e l’assegnazione della concessione con garanzie occupazionali vincolanti.
Durante l’incontro, è emerso anche il timore per le ricadute della nuova normativa ETS (Emission Trading System) dell’Unione Europea, che impone una tassazione sulle emissioni delle navi. Una misura pensata per la transizione ecologica, ma che rischia di penalizzare pesantemente i porti isolani. Come ha sottolineato l’assessora Manca: «Questa tassa colpisce la Sardegna in modo particolare. La totalità delle merci esportate al di fuori dell'Isola passa infatti per l'infrastruttura marittima, a differenza di quasi tutte le altre regioni europee». Manca ha anche denunciato l’iniquità del provvedimento europeo, che esenta molte altre isole con meno di 200mila abitanti: «Occorre rafforzare i servizi di continuità territoriale anche per le merci e trovare misure tampone nel breve periodo».
Più netto l’assessore Cani, che ha parlato della necessità di avviare una strategia comune: «La priorità resta la tutela dei lavoratori. Il nostro obiettivo è costruire un’idea concreta di rilancio del Porto Canale. Per questo convocheremo a breve una nuova riunione alla presenza di tutti i soggetti coinvolti». E ha aggiunto: «Serve un confronto immediato anche in vista dell’insediamento del nuovo presidente dell’Autorità Portuale, così da presentare un quadro già strutturato delle criticità e delle soluzioni praticabili».
Il Porto Canale, infrastruttura chiave per la logistica sarda, continua a restare sottoutilizzato, nonostante gli investimenti pubblici e l’enorme potenziale in termini di movimentazione merci. Dopo il disimpegno di CICT (gruppo Contship), mai davvero sostituito da un operatore capace di sostenere i volumi necessari al rilancio, lo scalo è rimasto in una condizione di limbo operativo e normativo.
Oggi, la finestra temporale per intervenire si sta chiudendo. La scadenza della concessione di giugno rappresenta un bivio strategico. O si predispone una governance credibile e un piano di investimenti industriali e occupazionali, oppure il rischio concreto è che il Porto Canale resti ancora una cattedrale nel deserto: un’infrastruttura pensata per la centralità mediterranea, ma fuori dai grandi circuiti commerciali.