Oltre duecentomila firme raccolte in poco più di un mese e un grido di dignità che risuona dalle campagne fino al Consiglio Regionale: le donne dei Comitati per la Pratobello 24 hanno deciso di occupare pacificamente l’aula consiliare, una testimonianza del legame antico e profondo che unisce la Sardegna alla sua gente.
Davanti all’indifferenza di un’Assemblea sorda, queste donne sono scese in campo, portando con sé non solo la richiesta di discutere una legge, ma il peso di una storia di lotta e resistenza che scorre nelle vene di questa terra.
Non è la prima volta che le donne sarde alzano la testa per difendere ciò che è giusto. La memoria risale a Pratobello, 1969, quando 3.500 abitanti di Orgosolo, guidati dalle donne, si opposero alla creazione di un poligono militare. In quegli anni, la resistenza non violenta di una comunità di pastori e agricoltori fermò un progetto che avrebbe calpestato la loro libertà. Ma se la memoria storica del popolo sardo è così forte, è anche grazie a figure come Paskedda Zau, che già nel 1865 marciava a Nuoro contro l’editto che toglieva ai poveri il diritto alla terra collettiva. Paskedda, vedova e madre di dieci figli, con il suo bastone e una vecchia sottana come bandiera, insegnò cosa significa avere il coraggio di lottare per ciò che è sacro.
Oggi, le donne dei Comitati di Pratobello 24 proseguono quella tradizione. Con determinazione pacifica, ma con la stessa fermezza, difendono una terra che rischia di essere sacrificata sull’altare di un “green” che non appartiene a loro, un modello imposto da logiche che nulla sanno delle radici e delle necessità della Sardegna. Perché dietro lo scintillio delle promesse di energia pulita, c’è il rischio di trasformare la Sardegna in un campo sterile di pale eoliche, privando le comunità locali di lavoro, risorse e paesaggio.
La loro resistenza è per una Sardegna che non vuole cedere alle pressioni di un mercato che vede solo numeri, non vite. Ogni montagna, ogni albero, ogni angolo di questa terra ha un significato, un legame che non può essere spezzato per soddisfare una fame di energia che, paradossalmente, lascia l’Isola povera e sfruttata.
Come ricordava Grazia Deledda, la Sardegna è una terra di venti, boschi e montagne, una terra “dove la voce delle foglie, dei fiumi e delle rocce” racconta storie che si tramandano di generazione in generazione.
Queste donne difendono, quindi, non solo un paesaggio ma un’identità. Vogliono assicurarsi che la Sardegna del futuro rimanga un luogo dove si possano ancora ascoltare i racconti degli anziani, dove le nuove generazioni possano sentire l’orgoglio di appartenere a una terra che non si è piegata.
Oggi, di fronte a un mondo che cambia troppo in fretta e a governi che vedono la Sardegna come un territorio da sfruttare, queste donne ci ricordano che la vera forza sta nella difesa della propria dignità.