Mentre gli Stati Uniti si preparano a un secondo mandato di Donald Trump, l’Europa deve fare i conti con un nuovo ordine mondiale. Il “ritorno” di Trump rappresenta solo l’ultimo segnale di una crisi più ampia: quella dell’impero americano, le cui fragilità minacciano di destabilizzare anche i suoi satelliti storici. L’Europa, con il suo legame quasi simbiotico con Washington, si trova davanti a una scelta epocale: continuare a orbitare intorno a un centro in declino o cercare di emanciparsi per tracciare una traiettoria autonoma.
Il rapporto tra Europa e Stati Uniti, sin dalla Seconda guerra mondiale, è stato costruito su un pilastro: la NATO.
Per decenni, l’ombrello di sicurezza garantito dagli americani ha permesso all’Europa di dedicarsi a un progetto economico e politico senza investire troppo in difesa. Tuttavia, con il primo mandato di Trump e le sue critiche alla NATO – definita “obsoleta” – l’Europa ha scoperto le sue fragilità. E ora, con il suo ritorno, il rischio di un ulteriore disimpegno americano preoccupa profondamente le capitali europee.
Un’America più isolazionista e meno disposta a spendere per la sicurezza del continente costringerebbe l’Europa a una rapida corsa al riarmo. Questo, però, non è privo di contraddizioni: l’Europa, frammentata politicamente e militarmente, non ha una difesa comune. Gli stati membri investono in sistemi diversi e spesso incompatibili tra loro. La Francia punta sul proprio arsenale nucleare, la Germania è ancora prigioniera della sua storia postbellica, e molti paesi dell’Est si affidano esclusivamente alla protezione americana contro la Russia. Con Trump, l’Europa potrebbe trovarsi obbligata a costruire una nuova architettura di difesa, ma senza una guida chiara e con tempi insufficienti per farlo.
Ma il vero problema non è solo politico o militare: è il segnale che viene dall’altra parte dell’Atlantico. Gli Stati Uniti, un tempo simbolo di stabilità e potenza, sono oggi un paese in profonda crisi sociale. I tassi di suicidio tra i più alti dell’Occidente, le oltre 100.000 morti annue per fentanyl, e una crescente polarizzazione politica sono solo alcuni dei sintomi di una società che sembra aver perso fiducia in se stessa. Questa crisi non è solo interna, ma si riflette sull’immagine che gli Stati Uniti proiettano nel mondo: un impero che fatica a tenere unito il proprio mosaico interno.
Per l’Europa, questa crisi rappresenta un avvertimento. Se l’America – il suo alleato più potente – mostra segni di cedimento, cosa accadrà ai rapporti transatlantici? E come reagirà l’Europa di fronte a un partner che non è più il “faro dell’umanità”, ma un gigante ferito, costretto a combattere guerre perpetue, a gestire crisi interne e a confrontarsi con una Cina sempre più assertiva?
Il secondo mandato di Trump rischia di approfondire le fratture economiche già emerse durante il suo primo periodo alla Casa Bianca. Le politiche protezionistiche, le guerre commerciali e il rifiuto del multilateralismo hanno messo in difficoltà non solo l’Europa, ma l’intero sistema economico globale. Con il suo ritorno, Trump potrebbe intensificare le pressioni sull’Unione Europea, chiedendo maggiore allineamento sulle questioni commerciali e tecnologiche.
In questo contesto, l’Europa rischia di trovarsi schiacciata tra due fuochi: da un lato, la pressione americana per isolare la Cina, dall’altro, la necessità di mantenere rapporti commerciali con Pechino, che resta un partner essenziale per molte economie europee, soprattutto quella tedesca. La vittoria di Trump, in un mondo già frammentato, potrebbe accelerare la fine di un sistema economico globale interconnesso, spingendo l’Europa a ridefinire le sue priorità strategiche.
Ma la questione più profonda è di natura identitaria. Da decenni, l’Europa vive come un satellite dell’impero americano, godendo dei benefici della protezione americana ma sacrificando parte della propria autonomia strategica. Ora, con il declino degli Stati Uniti, l’Europa rischia di trovarsi in una posizione ancora più subordinata, incapace di affrontare le sfide globali senza l’aiuto americano, ma al tempo stesso non più prioritaria nell’agenda di Washington.
Questa crisi potrebbe aprire uno spazio per una riflessione più ampia: l’Europa può continuare a vivere come colonia di un impero in crisi, o deve cercare di diventare un attore indipendente sulla scena globale? Le pressioni per un’autonomia strategica sono cresciute negli ultimi anni, ma la strada per raggiungerla è lunga e piena di ostacoli. Senza un’unità politica più forte, l’Europa rischia di restare intrappolata in una posizione di debolezza strutturale.