Mentre il 2024 volge al termine, gli Stati Uniti si apprestano a vivere una transizione politica che potrebbe segnare un nuovo capitolo nella storia della loro egemonia globale. Donald Trump, con la sua retorica aggressiva e il suo magnetismo populista, si prepara a insediarsi nuovamente alla Casa Bianca, ma questa volta su un terreno ben più fragile rispetto a otto anni fa.
L’impero americano, pilastro dell’ordine mondiale postbellico, sembra barcollare sotto il peso delle proprie contraddizioni interne ed esterne. E l’Europa, il suo satellite storico, osserva con inquietudine, consapevole che ogni crisi imperiale si riverbera inevitabilmente sulle colonie.
La crisi degli Stati Uniti non è solo politica: è morale, sociale, esistenziale. Con oltre 100.000 morti annuali per overdose da fentanyl – un farmaco sintetico che viaggia attraverso il Messico, ma che ha origine nei laboratori asiatici – e un tasso di suicidi ai massimi livelli dell’Occidente, la popolazione americana vive una stagione di profonda disillusione.
Questo senso di declino non è nuovo agli imperi: i Romani, al culmine della loro potenza, soffrivano della stessa inquietudine esistenziale, consapevoli che ogni espansione celava il seme del proprio crollo.
Quello che distingue gli Stati Uniti, però, è la simultaneità di una depressione interna e di una percezione esterna di forza immutata. Nonostante le guerre infinite, l’ascesa della Cina, e un sistema sociale sempre più frammentato, l’America resta una superpotenza economica, tecnologica e militare. Ma a quale prezzo? Il malessere profondo, generato dalla difficoltà di mantenere il controllo su un mondo sempre più popolato e multipolare, si trasforma in una rabbia schizofrenica: da un lato l’autocritica delle coste progressiste, dall’altro il rancore anti-globalista dell’America rurale.
In questo contesto, l’Europa – per decenni protetta sotto l’ombrello militare ed economico americano – si trova ad affrontare un dilemma strategico. L’elezione di Trump nel 2016 aveva già messo a nudo le vulnerabilità del continente: una NATO minacciata da disimpegni statunitensi, un commercio internazionale destabilizzato da politiche protezionistiche, e un ordine liberale scosso dall’ascesa di movimenti sovranisti. Ora, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, l’Europa rischia di trovarsi ulteriormente marginalizzata.
Ma il problema non è solo Trump. La crisi americana ha radici più profonde, e l’Europa – troppo spesso lenta a rispondere – rischia di essere risucchiata nel vortice. Le dipendenze energetiche, tecnologiche e militari dagli Stati Uniti hanno trasformato il continente in un satellite incapace di tracciare una propria rotta.
L’Unione Europea, malgrado gli sforzi per costruire un’autonomia strategica, resta legata mani e piedi a Washington, che ora sembra meno interessata a guidare il proprio impero e più concentrata a risolvere i propri traumi interni.
La storia insegna che il declino di un impero non avviene mai in isolamento. Quando un centro di potere si sgretola, le periferie ne avvertono immediatamente le ripercussioni. Così, mentre gli Stati Uniti combattono le loro battaglie interne – dalla crisi demografica all’instabilità sociale, dalle guerre commerciali alla sfida cinese – l’Europa si trova esposta a nuovi rischi. Un’America meno stabile e più protezionista potrebbe tradursi in un’Europa più vulnerabile, tanto sul piano economico quanto su quello geopolitico.
Ma c’è di più: la crisi americana mette in discussione l’intero paradigma occidentale. La disillusione verso la democrazia liberale, che ha accompagnato l’espansione americana del XX secolo, sta minando la fiducia nei suoi pilastri fondamentali. Se l’America non è più il “faro dell’umanità” – come si è autoproclamata per decenni – cosa resta dell’Europa, che da quel faro ha tratto luce per costruire il proprio progetto politico?
L’inizio del secondo mandato di Trump, previsto per gennaio 2025, potrebbe rappresentare un punto di svolta. Con una politica estera meno interventista e più isolazionista, il ruolo dell’America come garante dell’ordine mondiale potrebbe ridursi ulteriormente. Per l’Europa, questo significa affrontare nuove sfide: dalla costruzione di una difesa comune al rafforzamento delle proprie capacità tecnologiche ed economiche, fino a una politica estera meno subordinata a Washington.
Ma significa anche fare i conti con un mondo sempre più incerto, in cui la crisi dell’impero americano si intreccia con l’ascesa di nuove potenze e con l’instabilità globale. L’Europa, satellite inquieto, può scegliere se continuare a orbitare intorno a un centro in declino o cercare una propria traiettoria, consapevole che ogni scelta comporterà rischi e sacrifici.