Ogni anno, come un orologio ben sincronizzato, la settimana del 25 novembre riporta sulle prime pagine il tema della violenza sulle donne. Eventi, incontri istituzionali, panchine rosse, convegni e campagne social si moltiplicano. Le città si tingono di rosso, e l’indignazione diventa la protagonista di una narrazione che sembra spegnersi subito dopo aver spento i riflettori.
Ma cosa succede davvero nei restanti 364 giorni dell’anno? La risposta è semplice: troppo poco, spesso nulla.
I dati, sempre prontamente citati in questa settimana di memoria selettiva, raccontano una realtà che dovrebbe essere al centro dell’agenda politica ogni giorno. Un omicidio su quattro avviene tra le mura domestiche, e il 70% delle vittime sono donne. Ogni giorno sette donne denunciano una violenza sessuale, un dato che ne nasconde molti altri: quante non trovano il coraggio di denunciare? Quante non vengono credute? E quante si arrendono di fronte a un sistema che le abbandona?
La Sardegna, tra le regioni italiane con il più alto tasso di femminicidi, è uno specchio impietoso della realtà nazionale. La prevenzione è una parola che riempie i documenti ufficiali, ma i fatti sono altri. I braccialetti elettronici, tanto sbandierati come soluzione, si sono rivelati inefficaci. I centri antiviolenza, essenziali per offrire supporto concreto, faticano a sopravvivere con risorse insufficienti. E mentre si discute di grandi strategie, le donne continuano a essere vittime di una società che, dietro la facciata di uguaglianza, conserva un substrato di violenza sistemica.
Ci si riempie la bocca di educazione al rispetto e alla parità, ma dove sono i fondi strutturali per progetti a lungo termine? Dove sono le campagne educative nelle scuole che possano formare le nuove generazioni? Perché la violenza sulle donne deve diventare un tema rilevante solo in occasione del 25 novembre, quando il problema è una costante quotidiana?
La violenza non è un evento straordinario, ma un’emergenza permanente. Eppure, si continua a trattarla come un appuntamento.
Si costruiscono narrazioni effimere, si piantano simboli, ma il sistema giudiziario resta lento e inadeguato, e le vittime spesso si trovano sole ad affrontare un percorso lungo e doloroso. Denunciare non dovrebbe significare intraprendere una battaglia contro un sistema che, anziché proteggere, sembra voler scoraggiare chi cerca giustizia.
Questa ipocrisia istituzionale è inaccettabile. Perché aspettare il 25 novembre per accendere i riflettori? Perché non rendere la lotta alla violenza sulle donne un obiettivo quotidiano, sostenuto da fondi reali, progetti concreti e un cambiamento culturale costante? Continuare a fingere di affrontare il problema con iniziative temporanee non è solo inutile, ma profondamente offensivo per le vittime e le loro famiglie.
La verità è che, finché la violenza sulle donne sarà un argomento stagionale, la società continuerà a fallire nel proteggere chi ha bisogno di sostegno. Non basta ricordare le vittime: servono azioni incisive, costanti e durature. Perché il 25 novembre dovrebbe essere ogni giorno.