Con il 25 novembre alle porte, il Consiglio Comunale di Alghero si prepara a discutere un ordine del giorno che punta a contrastare la violenza sulle donne. Dati drammatici, statistiche da brivido e cinque punti di intervento che sembrano promettere molto, ma che rischiano di rimanere, come spesso accade, parole vuote.
La Sardegna, al vertice della triste classifica italiana per femminicidi, non può permettersi approcci timidi. La prevenzione con i braccialetti elettronici è stata un fallimento; le denunce continuano a essere una tortura per chi trova il coraggio di presentarle, e il fenomeno della violenza domestica si alimenta di silenzi, paura e burocrazia. Eppure, anziché soluzioni concrete e immediate, si riparte dai proclami. Stampare il 1522 sugli scontrini delle farmacie è una buona idea? Forse. Ma risolve qualcosa? No. Non se chi deve denunciare si trova davanti a un muro di indifferenza o a procedure che trasformano le vittime in ulteriori bersagli.
Le proposte di Christian Mulas, Beatrice Podda e Anna Arca Sedda sono encomiabili sulla carta. Creare uno sportello per prevenire i conflitti familiari e avviare percorsi educativi nelle scuole sono passi nella direzione giusta. Ma cosa cambia se, come spesso accade, tutto si ferma alle intenzioni? Il problema non è solo culturale, ma sistemico. Una donna che denuncia deve sentirsi protetta, e questo richiede molto più di un semplice raccordo tra forze dell'ordine e servizi sociali. Serve una rivoluzione vera, che passi dalle leggi fino all’ultimo sportello dei consultori.
La disparità di genere è un tumore sociale che non si estirpa con le parole. Serve una rete reale di sostegno, una macchina che funzioni e non si blocchi al primo intoppo burocratico. Questo ordine del giorno, per quanto nobile nelle premesse, sarà un altro specchio per le allodole o finalmente un primo passo verso un cambiamento concreto? La risposta è ancora tutta da scrivere. Intanto, le donne continuano a morire. E questo, al di là delle belle intenzioni, resta un fatto inaccettabile.