L’8 settembre 1943 non è solo una data storica: è il momento in cui l'Italia ha perso la sua identità, in balia di un caos totale. Con l'annuncio dell'armistizio da parte del maresciallo Badoglio, il Paese è stato travolto da un disordine che ha avuto conseguenze devastanti. Le forze armate, prive di direttive chiare, si sono dissolte, lasciando spazio all'occupazione tedesca al Nord e all’avanzata degli Alleati al Sud. Un vero pasticcio, quello dell’armistizio, che ha segnato l'inizio di una crisi morale e politica senza precedenti.
Prezzolini, una delle voci critiche più lucide del Novecento italiano, ha riassunto quel momento con un giudizio impietoso: "Il compromesso è la regola in Italia, ma senza l'onore, il compromesso diventa tradimento".
E infatti, fu proprio un tradimento quello che percepirono milioni di italiani, abbandonati da un governo che fuggiva in piena notte. Da quel giorno, l'Italia era spaccata in due: da una parte la Resistenza, dall’altra la Repubblica Sociale Italiana. Ma il vero dramma non era solo militare, era identitario.
L'armistizio dell'8 settembre ha avuto conseguenze disastrose anche sul piano culturale e politico. La caduta del fascismo ha creato una pericolosa e ingiusta sovrapposizione tra fascismo e destra, un binomio che ha avvelenato per decenni il dibattito pubblico. Da quel momento in poi, chiunque osasse dichiararsi di destra veniva automaticamente sospettato di simpatie fasciste, creando un clima di demonizzazione che ha soffocato ogni possibilità di dialogo.
Giuseppe Prezzolini, da osservatore critico, aveva già individuato questo malinteso, denunciando con amara ironia che "in Italia si può essere di destra solo con il permesso della sinistra". Questo schema ha costretto la destra a nascondersi, a celarsi sotto altre bandiere, come quella della Democrazia Cristiana. Lì si rifugiavano le forze conservatrici e liberali, incapaci di trovare uno spazio autonomo in un Paese che, dal dopoguerra in poi, ha identificato la destra con il fascismo.
La Democrazia Cristiana, un partito dal grande ventaglio ideologico, è stata il rifugio di molti che, sebbene formalmente centristi, difendevano valori di destra come la libertà individuale, la famiglia e la tradizione. Tuttavia, l’equivoco "destra uguale fascismo" era così radicato che qualsiasi tentativo di riaffermare una visione conservatrice autonoma veniva soffocato. La destra, così, restava nascosta sotto il manto della DC, ma a caro prezzo: la propria identità.
L’egemonia culturale della sinistra ha giocato un ruolo decisivo in questo processo. Intellettuali del calibro di Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini, pur critici verso il comunismo, vedevano nella destra una continuazione del fascismo. Questo ha contribuito a creare una narrazione in cui la destra era automaticamente sospettata di autoritarismo. Prezzolini non mancava di sottolineare questo punto, notando che la politica italiana era ridotta a un "gioco di maschere", dove l’antifascismo diventava il pretesto per delegittimare qualsiasi posizione politica conservatrice.
Il vero dramma dell'8 settembre è stato quindi culturale. In un’Italia che si riscopriva antifascista, la destra non ha mai avuto la possibilità di rifondarsi su basi democratiche, liberali e moderne.
Ogni tentativo di legittimazione era condizionato dal peso del fascismo. Ancora oggi, a distanza di decenni, chiunque si dichiari di destra deve fare i conti con un fantasma che non vuole sparire.
Ma la destra italiana non è fascismo. È ben più complessa e radicata di quanto le semplificazioni post-1943 abbiano lasciato intendere. L'8 settembre, con la sua eredità di caos e ambiguità, ha segnato l'inizio di una distorsione culturale che ancora oggi frena l’Italia dal diventare una democrazia matura e capace di dialogare apertamente tra tutte le sue componenti.
Prezzolini l'aveva capito bene: il vero pericolo per l’Italia non era il fascismo, ormai morto e sepolto, ma l’incapacità di accettare che una destra democratica potesse esistere senza doversi difendere da accuse e sospetti della sinistra.