In Sardegna, 13mila lavoratori del settore terziario si trovano a fare i conti con contratti pirata, senza quattordicesima e con stipendi inferiori rispetto ai colleghi coperti da contratti nazionali. La denuncia arriva da Cristiano Ardau, segretario generale della UILTucs Sardegna, che ha definito la situazione “inaccettabile”.
“Oggi nell’Isola contiamo oltre 340mila dipendenti – spiega Ardau – il 91,6% ha un contratto collettivo nazionale di Confcommercio, il 4,6% appartiene a Federdistribuzione e Confesercenti. Il restante 3,8%, pari a circa 13mila lavoratori, è legato a contratti stipulati da associazioni datoriali senza rappresentatività. Questi dipendenti percepiscono circa 400 euro in meno al mese e non ricevono la quattordicesima, perdendo oltre 5.000 euro l’anno rispetto ai colleghi più tutelati.”
Secondo Ardau, l’applicazione di questi contratti pirata comporta una perdita complessiva di 40 milioni di euro di retribuzione annua per la Sardegna.
“Questi contratti – continua il segretario – nascono per far risparmiare le aziende e generano concorrenza sleale. Ci ha stupito scoprire che fossero così diffusi.”
La responsabilità, secondo Ardau, è attribuibile anche a consulenti del lavoro che favoriscono l’applicazione di questi contratti meno onerosi. “Purtroppo, in Italia non esiste ancora un sistema contrattuale che obblighi le aziende ad applicare il contratto di riferimento,” denuncia, citando anche il caso di una nota catena di bricolage coinvolta in queste pratiche.
Dallo studio condotto dalla UILTucs Sardegna sui dati del CNEL a fine gennaio emergono numeri allarmanti: i lavoratori del terziario che percepiscono stipendi legati a contratti pirata guadagnano in media 414 euro in meno al mese, con una retribuzione giornaliera di circa 50 euro rispetto ai 66 dei colleghi con contratto Confcommercio.