"Non gioisco per queste vicende. Non sono il tipo che esulta quando chi vince le elezioni viene fatto fuori per questioni burocratiche o giudiziarie." Così Giorgia Meloni, con la consueta schiettezza, ha commentato il caso della presidente della Sardegna, Alessandra Todde, per la quale il Collegio di garanzia elettorale ha chiesto la decadenza per irregolarità nelle spese elettorali.
La premier ha anche tirato una stoccata ai suoi avversari politici: "Quando si trattava di Berlusconi, si diceva che il Parlamento doveva semplicemente ratificare la decisione della magistratura. Oggi, invece, Pd e M5S parlano di non convalidare la decadenza della Todde. È sempre lo stesso film: due pesi e due misure." E Meloni non si è risparmiata nemmeno un parallelo pungente: "Ricordo bene il caso del Popolo della Libertà nel Lazio, escluso per un ritardo di dieci minuti nella presentazione della lista. All’epoca nessuno si preoccupava di garantismi."
Nel frattempo, il caso Todde continua a infittirsi. La presidente ha annunciato ricorso contro l’ordinanza, mentre i suoi avvocati sono al lavoro per smontare le accuse che riguardano l’assenza di un mandatario elettorale e di un conto corrente dedicato. Per la Todde si tratterebbe di semplici irregolarità formali, ma il Collegio non è dello stesso avviso, tanto da aver trasmesso gli atti alla Procura di Cagliari, che ha aperto un fascicolo per verificare eventuali reati, tra cui il falso.
La vicenda rischia di trasformarsi in un pasticcio istituzionale. Se il Consiglio regionale dovesse confermare la decadenza, l’intera assemblea sarebbe sciolta, portando a nuove elezioni. Un’eventualità che nessuno, nemmeno tra i più accaniti detrattori della Todde, sembra desiderare.
Eppure, i fatti restano. Le contestazioni riguardano discrepanze tra una prima dichiarazione, che indicava spese per circa 90mila euro, e una successiva, in cui la Todde affermava di non aver sostenuto alcun costo, attribuendo tutto al partito. Una danza di numeri che, anche se non penalmente rilevante, non fa certo onore a chi pretende di guidare una Regione.
In tutto questo, la giustizia – o quello che ne resta – si muove con la consueta lentezza. Tra ricorsi al Tribunale ordinario e eventuali passaggi al Tar, ci aspetta un lungo tira e molla, in cui a perdere saranno, come sempre, i cittadini.
Meloni ha ragione su una cosa: c’è poco da gioire. Ma c’è anche poco da sperare. Perché, finché la politica continuerà a giocare con le regole come fossero un elastico, la fiducia nelle istituzioni resterà un miraggio. E la Todde, con o senza decadenza, non sarà certo l’ultima pedina di questo gioco sporco.