L’eco di un microfono, la folla in delirio, la retorica infuocata di un uomo che incarna il potere della parola come strumento di dominio. 18 febbraio 1943, Berlino, Palazzo dello Sport. Joseph Goebbels pronuncia il suo discorso sulla guerra totale. La Germania è già condannata, anche se nessuno in quella sala lo sa. L’illusione del Reich millenario si sgretola sotto i colpi dell’Armata Rossa e delle bombe alleate. Ma il regime non può ammetterlo. Non è il momento della verità, ma della propaganda.
Goebbels è stato il maestro della propaganda moderna, un uomo capace di trasformare la disperazione in consenso. Ma se la propaganda nazista era martellante, ossessiva, un colpo di tamburo che risuonava ovunque, oggi è molto più sottile, insinuante, liquida.
Non abbiamo più megafoni urlanti, ma algoritmi che selezionano le nostre emozioni, che ci mostrano ciò che vogliamo vedere e ci fanno credere che sia la verità. Non abbiamo più manifesti di guerra nelle strade, ma feed personalizzati che ci suggeriscono cosa pensare, cosa temere e chi odiare.
Nel 1943 il nemico era fisico, concreto: la guerra era combattuta con armi, carri armati, sangue. Oggi il conflitto è diverso: è un’infowar, una guerra di narrazioni. La propaganda non ha più bisogno di un palco e di un’oratoria incendiaria. Si è frantumata in mille schermi, in titoli sensazionalistici, in post virali.
Se Goebbels avesse avuto accesso agli strumenti di oggi, avrebbe probabilmente sostituito il suo famoso discorso con una campagna di social media perfettamente calibrata. Avrebbe usato i bot per diffondere fake news, i data scientist per profilare gli elettori, le intelligenze artificiali per creare video deepfake capaci di riscrivere la realtà. La manipolazione non urla più in una sala gremita: sussurra nei nostri smartphone, ci avvolge come un’ombra, ci sembra naturale.
Il vero rischio non è la propaganda in sé, ma il fatto che non la riconosciamo più. Goebbels, con tutto il suo arsenale retorico, dipendeva ancora da una folla che applaudiva. Oggi la propaganda non ha più bisogno di consenso attivo: basta il nostro scroll passivo su uno schermo.
A 82 anni di distanza, non dobbiamo solo ricordare il discorso del 18 febbraio 1943, ma comprendere che la guerra totale della propaganda non è mai finita. Ha solo cambiato forma.