Emilio Lussu, l’eredità politica e l’ambigua “contesa” dell’oggi

Quando si guarda alla figura di Emilio Lussu (1890-1975), il rischio più grande è ridurre il suo profilo storico e intellettuale a una singola corrente ideologica. In realtà, Lussu è stato un politico dalla visione ben più complessa di quanto oggi si voglia spesso raccontare, specialmente in certi ambienti che tendono a “riappropriarsene” in senso univoco. Tanto la sinistra, quanto altre forze politiche, lo hanno citato o celebrato come esempio di “padre nobile” in funzione delle rispettive narrazioni. Tuttavia, la sua traiettoria non può essere compressa in un’operazione di propaganda. Lussu è stato, al contempo, un “sardista” radicato e un antifascista militante, un uomo d’azione e di penna, un costituente la cui voce era sì intrisa di spirito repubblicano, ma anche di un’originale impronta autonomistica.

Nato ad Armungia, in provincia di Cagliari, Lussu fu tra i fondatori del Partito Sardo d’Azione nel 1921. Quel PSD’AZ era animato da un’ispirazione autonoma e popolare, legata alle urgenze delle campagne e a una visione comunitaria della Sardegna, ma si distingueva nettamente tanto dai nazionalismi più accesi quanto dagli schemi ideologici della sinistra classica. La sua idea di “autonomia sarda” – mai confusa con il mero localismo – comprendeva un desiderio di partecipazione e progresso sociale condiviso anche da fasce popolari che non si riconoscevano nelle élite politiche centrali.

Dopo il consolidarsi del regime fascista, Lussu si oppose al regime con un coraggio che gli costò il confino a Lipari e l’esilio. In questo periodo, i suoi rapporti con altri antifascisti (come Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini) lo collocarono nella galassia di Giustizia e Libertà, preludio alla nascita del Partito d’Azione. Nel Dopoguerra, Lussu fu deputato all’Assemblea Costituente e contribuì alla stesura dei principi fondamentali della Carta repubblicana. È qui che spesso la sinistra italiana “accoglie” Lussu nel proprio pantheon, quasi dimenticando che egli mantenne, fino alla fine, una visione politica eterodossa e mai scontata, in equilibrio tra socialismo liberale, autonomismo sardo e tensione etica verso la democrazia diretta.

La celebrazione di Lussu come “padre costituente” si inserisce, in molti casi, in una liturgia di sinistra che enfatizza il ruolo dei membri dell’Assemblea Costituente quasi fossero “santi laici”, artefici di una Carta intoccabile e ispirata a valori eterni. Benché sia vero che la Costituzione nasca da un orizzonte di ideali antifascisti e democratici, vanno evitate le semplificazioni agiografiche: i costituenti, donne e uomini, provenivano da storie politiche diverse, con alleanze mutevoli e contrasti fortissimi. La stessa sinistra del Dopoguerra era tutt’altro che monolitica, divisa tra socialisti, comunisti, azionisti, repubblicani, liberali di sinistra, e con profonde faide interne.

Nel caso di Lussu, il suo pensiero politico era legato a un concetto di democrazia sostanziale e partecipata, e al tempo stesso alla difesa di una Sardegna più libera dai poteri esterni. Oggi, quando in alcuni incontri pubblici lo si presenta esclusivamente come un “eroe della sinistra”, si rischia di oscurare la sua identità sardista, l’originalità del suo liberalismo sociale e la sua autonomia intellettuale. Egli non fu mai un “uomo d’apparato” in senso stretto e non si piegò alle linee ufficiali di un singolo partito. L’Assemblea Costituente fu eletta nel 1946 con suffragio universale, maschile e femminile, un’enorme novità nell’Italia del tempo. Le donne, fino ad allora escluse da gran parte del processo decisionale, entrarono in politica e permisero a varie forze, specialmente quelle di sinistra e di centro-sinistra, di allargare il proprio bacino elettorale. Questo nuovo scenario incoraggiò le diverse correnti a stringere alleanze e a “corteggiare” figure prestigiose per guadagnare consensi e legittimità. In tale clima, la presenza di donne costituenti e di personalità “altre” come Lussu – l’antifascista reduce dalla Sardegna, forte di un carisma guadagnato sui campi di battaglia e in esilio – divenne un prezioso tassello per rafforzare visioni progressiste e democratiche.

La forza di Lussu, però, non sta nel fatto di essere proprietà di una corrente o di un partito, ma nel suo rifiuto delle facili etichette. Ancor prima di qualunque collocazione politico-partitica, spiccano:

  • La coerenza antifascista: mai negoziata, nemmeno nei momenti più duri del confino.
  • La denuncia contro la violenza e l’assurdità della guerra, espressa in “Un anno sull’Altipiano”, testo che unisce la crudezza del racconto autobiografico a una profonda riflessione etico-politica.
  • Il sardismo progressista, una visione dell’autonomia come strumento di liberazione sociale e culturale, non come rivendicazione puramente identitaria o localistica.
  • La partecipazione costituente: un lavoro di sintesi che, pur muovendo da posizioni originali, ha saputo condividere con gli altri padri e madri costituenti l’aspirazione a una Repubblica democratica, eguaglianza di fronte alla legge e la tutela di diritti fondamentali.

Oggi, certe iniziative culturali o conferenze rischiano di appiattire la complessità di Lussu, incastonandolo in un’unica matrice “di sinistra” – storicamente percepita come la depositaria dei principi democratici e antifascisti. Ma l’eredità di Lussu, come quella di altri protagonisti del Novecento, è molto più articolata: il suo PSD’AZ originario nacque per difendere le istanze contadine e pastorali della Sardegna, in un contesto di grandi ingiustizie, e non come satellite di una sinistra già divisa in infinite fazioni. È vero che nel Dopoguerra si schierò su posizioni progressiste e socialiste, ma senza mai rinunciare al proprio sguardo libero, alieno dalle rigide ortodossie partitiche. La “contesa” su Lussu da parte di questa o quella corrente è, in definitiva, sintomo del fascino di un pensiero e di una vita che hanno attraversato tutti i nodi cruciali del secolo scorso. Tuttavia, per rendere davvero onore al ruolo di Lussu nella costruzione della nostra democrazia, occorrerebbe esporne l’intero vissuto politico, con le sue tensioni e ambiguità, anziché ridurlo a una bandiera da sventolare secondo convenienza. Emblema di una Sardegna che voleva riscattarsi e di un’Italia che voleva liberarsi dai suoi mali, Lussu è un patrimonio di tutti, ma soltanto chi ne rispetta la complessità può davvero comprenderne la grandezza.

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