Ci sono momenti nella vita di una nazione che lasciano il segno, che interrogano e scuotono l’opinione pubblica come un sasso lanciato in uno stagno. La strage di Paderno Dugnano, con un 17enne al centro di un orrore indicibile, è uno di questi momenti. Un ragazzo che, apparentemente tranquillo, si è trasformato nel carnefice della propria famiglia. “Vivevo un disagio, ma non pensavo di arrivare a uccidere,” ha detto il giovane, quasi in un mormorio, tentando di afferrare l’incomprensibile.
Gli investigatori che lo hanno interrogato sono rimasti colpiti dalla sua lucidità, dalla calma quasi disarmante con cui ha raccontato l’orrore.
“Lucido e tranquillo” lo hanno descritto, come se la sua mente, distaccata dai fatti, li osservasse da lontano. Eppure, sotto questa calma apparente, si nasconde un abisso di angoscia e solitudine. Il ragazzo ha confessato di sentirsi un estraneo nel mondo, di provare un “malessere” che lo opprimeva, al punto da spingerlo a concepire il più terribile dei pensieri: uccidere.
"Provavo un malessere, mi sono sentito estraneo rispetto al mondo," ha dichiarato, mentre il suo avvocato Amedeo Rizza confermava che il giovane “sta prendendo consapevolezza di ciò che ha fatto, anche se non riesce a darsi una spiegazione.” Una consapevolezza che, però, arriva solo a posteriori, come un’ombra che si stende sul passato e lo trasforma in un incubo.
Ma cosa ha scatenato questa furia omicida? La procuratrice Sabrina Ditaranto ha chiarito che, al momento, non esiste un “movente tecnicamente valido dal punto di vista giudiziario”. Non ci sono segreti oscuri, nessun abuso, nessuna minaccia imminente. Solo una disperazione silente che è esplosa con violenza in una notte d’agosto.
Le indagini, coordinate dalla Procura per i Minorenni di Milano e dalla Procura di Monza, sono ora concentrate sull’esplorazione del lato psicologico e psichiatrico del ragazzo. Saranno cruciali gli accertamenti che verranno fatti nei prossimi giorni, per comprendere se vi sia stata una forma di indottrinamento o un’influenza esterna, come il dark web, oppure se la sua mente si sia oscurata da sola, schiacciata dal peso della propria esistenza.
Nel frattempo, il 17enne si trova nel carcere minorile Beccaria, in attesa di comparire di fronte al gip.
Qui ha iniziato i colloqui con gli educatori, mentre i nonni, sconvolti ma compassionevoli, si preparano ad incontrarlo. Per ora, però, devono attendere. La legge segue il suo corso, lenta ma inesorabile, e il ragazzo dovrà rispondere dell’accusa di triplice omicidio pluriaggravato dalla premeditazione.
Ci si chiede se vi fossero segnali premonitori di una tale tragedia. I conoscenti lo descrivono come un ragazzo tranquillo, senza particolari problemi. Ma le apparenze ingannano, e spesso la realtà più cupa si nasconde dietro le facciate più ordinarie. “Niente affatto spavaldo, ma fragilissimo,” lo ha definito chi lo ha visto di recente.
Un giovane uomo intrappolato in una spirale di disagio, incapace di vedere una via d’uscita se non attraverso la distruzione.
Resta infine un dettaglio che getta un’ulteriore ombra su questa vicenda: il desiderio del ragazzo di andare a combattere in Ucraina, espresso durante l’interrogatorio. Non è stato approfondito, e forse non ha legami diretti con la strage. Ma il solo fatto che un pensiero del genere abbia attraversato la sua mente, in un contesto già tanto drammatico, suggerisce un livello di alienazione e smarrimento che difficilmente trova spiegazioni razionali.
Ora, l’Italia si ferma, osserva e riflette su questa tragedia che non trova senso né giustificazione. Una famiglia distrutta, un giovane perduto e una comunità intera che cerca di comprendere l'incomprensibile e di come si sia potuti arrivare a tanto.