Il mandato di Francesco Spano come capo di gabinetto del Ministero della Cultura è durato quanto un battito d’ali di farfalla. Appena nominato, si è trovato subito nel mezzo di un tornado di polemiche e attacchi personali che lo hanno spinto a dimettersi. “Il contesto venutosi a creare, non privo di sgradevoli attacchi personali, non mi consente più di mantenere quella serenità di pensiero che è necessaria per svolgere questo ruolo così importante”, ha scritto nella sua lettera di dimissioni al ministro Alessandro Giuli. Tradotto: meglio farsi da parte prima di essere travolti.
Il ministro Giuli ha accettato, non senza rammarico, la decisione, esprimendo “convinta solidarietà” a Spano per il “barbarico clima di mostrificazione” che lo ha colpito. Ma in politica, si sa, gli abbracci di solidarietà arrivano quando la tempesta è già in atto e le dimissioni sul tavolo.
Spano era stato nominato appena una settimana fa, eppure la sua nomina aveva sollevato critiche fin dall'inizio, persino dentro la maggioranza. La sua colpa? Il passato all’Unar, l’Ufficio antidiscriminazioni, dove aveva autorizzato finanziamenti a un’associazione LGBTQ poi finita al centro di un’inchiesta per favoreggiamento della prostituzione. Vecchie storie che ritornano a galla al momento giusto.
Nel mare della politica, Spano ha preferito abbandonare la nave prima che affondasse del tutto, lasciando dietro di sé una carriera stroncata da polemiche che non hanno neanche dato il tempo di dimostrare il suo valore. Come spesso accade, la politica si fa anche con i fantasmi del passato, e a volte basta un soffio per chiudere una carriera.