L'Italia tra mito e realtà, Capitolo 2: Romolo, Il primo re - La nascita delle istituzioni

  Abbiamo lasciato Romolo mentre, con una spada ancora calda del sangue di Remo, si accingeva a fondare Roma. Un'impresa titanica, non solo per la difficoltà di erigere mura e templi, ma soprattutto perché una città, senza cittadini, non è altro che un mucchio di sassi. E Roma, al principio, di cittadini ne aveva pochi e, soprattutto, di donne quasi nessuna. Un problema che, anche se non segnalato da censimenti ufficiali, risultava evidente a chiunque avesse avuto un minimo di buon senso. Romolo, nonostante il suo passato da assassino di fratelli, sapeva bene che senza donne non si costruisce una città. La faccenda, però, era spinosa: chi avrebbe voluto portare la propria figlia in quel villaggio di pastori e fuorilegge? Nessuno, naturalmente. E così, con la tipica astuzia romana, Romolo architettò uno dei piani più audaci della storia: il Ratto delle Sabine.

  La parola “ratto”, in questo contesto, va intesa nel senso latino del termine, che non ha nulla a che vedere con un semplice furto. Si tratta piuttosto di un rapimento organizzato, un’azione collettiva volta a risolvere un problema che avrebbe potuto affossare Roma prima ancora che nascesse. Romolo, consapevole che nessun capo tribù avrebbe mai acconsentito a un matrimonio con quei “nuovi ricchi” senza nobiltà, decise di non chiedere il permesso. Organizzò una grande festa, in onore del dio Conso, e invitò i vicini Sabini, un popolo fiero e combattivo, a partecipare con le loro famiglie. I Sabini, ignari della trappola, arrivarono in massa, con mogli, figlie e sorelle al seguito. Ed è qui che entra in gioco la famosa furbizia romana. Mentre i giochi erano in pieno svolgimento, Romolo diede il segnale: un improvviso colpo di scena, e i giovani romani, seguendo un piano ben orchestrato, si gettarono sulle donne Sabine e le rapirono, portandole di forza a Roma. Quello che segue è uno dei passaggi più controversi della storia romana. Da una parte, c’è la brutalità del gesto: un rapimento di massa, che oggi definiremmo un atto di guerra. Dall’altra, c’è l’abilità politica di Romolo, che seppe trasformare un atto di violenza in un’opportunità di crescita per la sua città. 

  Le donne, inizialmente terrorizzate, furono integrate nella comunità romana come mogli, garantendo così una discendenza e, quindi, un futuro a Roma. Ma la storia non finisce qui. I Sabini, naturalmente, non presero bene la faccenda. Guidati dal loro re, Tito Tazio, marciarono su Roma, decisi a riprendersi le loro donne e a vendicarsi dell’affronto subito. Lo scontro sembrava inevitabile, e tutto lasciava presagire una guerra sanguinosa tra i due popoli. Tuttavia, proprio quando i due eserciti erano sul punto di affrontarsi, accadde qualcosa di inaspettato: furono le stesse donne Sabine, ormai mogli dei Romani e madri dei loro figli, a intervenire. Le Sabine si interposero tra i due eserciti, implorando i loro padri e fratelli di non uccidere i mariti e i padri dei loro bambini. Il loro gesto, disperato ma carico di umanità, riuscì a fermare la battaglia. Invece di scorrere, il sangue si fermò, e dalla mediazione delle Sabine nacque una tregua che portò all’unione dei due popoli. Tito Tazio e Romolo si spartirono il potere, governando insieme Roma e inaugurando così una nuova era di cooperazione e pace, almeno per qualche tempo.

  Il Ratto delle Sabine, dunque, non fu solo un rapimento, ma un episodio fondativo nella storia di Roma. Da quel momento in poi, Roma non fu più una città isolata, ma il risultato di una fusione tra diverse culture e popoli. Romolo aveva compreso, forse meglio di chiunque altro, che la forza di Roma non sarebbe derivata solo dalle sue mura o dalle sue legioni, ma dalla capacità di integrare e assimilare ciò che la circondava. Romolo, tuttavia, sapeva che non bastava avere una città popolata e unita. Per garantire la stabilità e la continuità, servivano istituzioni solide. E così, dopo aver risolto la questione demografica, Romolo comincia dal Senato, e qui bisogna riconoscere che, per uno che aveva appena fondato una città su un omicidio, la sua scelta di condividere il potere è almeno curiosa. 

  Cento uomini, i più anziani e rispettabili – se così si può dire – vengono scelti come “padri” della città. Sono i patrizi, coloro che dovranno consigliare il re e, col tempo, diventare i custodi delle tradizioni e della continuità di Roma. Che il Senato sia stato un’idea geniale o solo un modo per tenere a bada una manica di potenziali rivoltosi, non lo sapremo mai. Ma una cosa è certa: il Senato, nato sotto Romolo, sarà il cuore pulsante della politica romana per secoli. Non contento di aver messo in piedi una classe dirigente, Romolo si occupa anche del "popolo", organizzandolo in curie. Ora, qui le cose si fanno un po’ più complicate. Le curie, trentacinque per la precisione, prendono il nome dai primi villaggi del Lazio e servono per dare un po’ di ordine a questo coacervo di gente. Ogni curia ha il suo ruolo, le sue responsabilità, e i suoi obblighi, specialmente quando si tratta di difendere Roma. Perché, come abbiamo già accennato, Romolo sa che senza un esercito ben organizzato, la sua città non durerà a lungo. Così, ecco nascere le prime legioni. Non pensate a eserciti professionisti; i soldati di Romolo sono cittadini armati, pastori che imbracciano il gladio per difendere la loro capanna. Ma è proprio da questi inizi umili che nasce la macchina da guerra romana, quella che, nel giro di qualche secolo, conquisterà il Mediterraneo. 

  Ora, Romolo non era tipo da lasciare le cose a metà. Dopo aver messo in piedi un esercito e un sistema di governo, si preoccupa anche di dare a Roma una religione. Ma attenzione, non parliamo di dogmi e teologie complicate. Per Romolo, la religione è una questione pratica: un modo per unire la gente e dare un senso di sacralità a quella città che sta crescendo più in fretta di quanto chiunque avesse potuto prevedere. E così, tra templi e rituali, Roma comincia a diventare non solo una città, ma una comunità con una propria identità. Il regno di Romolo dura quasi quarant’anni, un periodo sorprendentemente lungo per un fondatore di città, soprattutto considerando i suoi inizi sanguinosi. Ma la fine di Romolo è avvolta nel mistero, e qui la storia si mescola di nuovo al mito. Alcuni dicono che sia stato portato via dagli dei durante una tempesta, trasformato in Quirino, il dio guerriero. Altri, forse più realisti, suggeriscono che sia stato eliminato dai suoi stessi senatori, stanchi di un re che cominciava a somigliare troppo a un tiranno. Qualunque sia la verità, il fatto che Romolo sia stato il primo re di Roma, il fondatore di quelle istituzioni che avrebbero resistito nei secoli, non è in discussione. La sua eredità è quella di un uomo che ha saputo vedere oltre il villaggio di capanne sulle rive del Tevere, immaginando una città che avrebbe un giorno governato il mondo. E, ironia della sorte, ci riuscì proprio grazie a quegli stessi elementi – la violenza, l’astuzia e la capacità di adattarsi – che avevano segnato la sua nascita.

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