C’è un momento, a volte, in cui la storia non si legge, ma si ascolta. E non perché
qualcuno la stia raccontando con parole solenni o date incise nella pietra, ma perché a
parlare è una chitarra vissuta, un’armonica consunta, un pianoforte dal suono stanco
come le ginocchia di chi lo suona. Succederà anche questo sabato 19 aprile, alle
19:30, in un angolo di Cagliari che sa di soglia e di sogno: il Teatro Houdini.
Là, tra le pieghe di un sipario invisibile che sa aprirsi come una vecchia ferita, due
uomini con lo stesso sangue e lo stesso fuoco nei polpastrelli — Alessandro Muroni e
Ludovico Sebastian Muroni — faranno qualcosa di molto raro: daranno voce a chi
voce non ebbe. E lo faranno come si fa con le cose serie, con rispetto e con amore,
ma anche con quel pizzico d’urgenza che ha la verità quando è troppo a lungo rimasta
sepolta.
Padre e figlio. Uno cresciuto con la new wave e la coda lunga del punk. L’altro nato
dopo, che quelle stagioni le ha solo ascoltate raccontare. Ma entrambi, curiosamente,
si danno appuntamento dove tutto è cominciato: nel Blues delle origini. Gli anni sono
quelli ruggenti del ’20 e del ’30, ma ciò che urla in quei brani è una fame che non ha
data di scadenza. Fame di giustizia, di voce, di libertà.
E così, senza troppi fronzoli, i The BigWalls & the Early Blues ci porteranno in un
viaggio che non ha bisogno di passaporto né di valigie, ma solo di orecchie aperte e
cuore disposto. Un repertorio che pesca dalle viscere della musica afroamericana:
Leadbelly, Bessie Smith, Son House, Blind Blake, Memphis Minnie, Reverend Gary
Davis e tanti altri nomi che non furono solo artisti, ma testimoni. I loro brani non erano
solo canzoni: erano dichiarazioni d’esistenza.
Si canteranno treni che partono e non tornano. Donne che si riprendono la propria
voce, il proprio corpo. Lamenti spirituali, ma anche ironie taglienti, proteste in forma di
ballata. Nessun revival, nessuna nostalgia: solo un omaggio onesto, sentito, che
restituisce alle radici il loro giusto peso, senza accademia né finzione.
Chi andrà, vedrà. Ma soprattutto sentirà. Sentirà quel suono sporco, imperfetto e
dunque autentico, che fu la prima lingua di chi non poteva parlare. E capirà che il
Blues non è solo musica: è memoria collettiva, è lotta, è bellezza nata dal dolore.
L’ingresso non prevede formalità rigide: la prenotazione è consigliata (basta un
messaggio o un whatsapp al numero 3487154303), ma il posto è lì, per chi vuole
sedersi e ascoltare. Per chi sa che certe serate non si ripetono. E che ci sono eventi
che non si promuovono: si vivono.
Sabato sera, dunque. Teatro Houdini. Una città che resta, un tempo che ritorna, due
generazioni che si incontrano. E un Blues che, testardo, continua a cantare.