I ritratti di Giorgio Saitz: Nenè, icona del calcio e leggenda del Cagliari - un viaggio tra passione e gloria

  Dopo i tre ritratti proposti in questo inizio di percorso, desideriamo continuare la nostra serie di articoli relativa ai più grandi calciatori che hanno vestito la gloriosa maglia del Cagliari con un altro leader indiscusso dell’intera storia rossoblù: il solo, unico ed inimitabile Claudio Olinto de Carvalho per tutti semplicemente “Nene”. Un giocatore- il grandissimo atleta che abbiamo il piacere ed onore di trattare in codesto “pezzo” - nato a Santos (Brasile) nel 1942 e figlio d’arte (il padre Herminio Olinto militava- infatti- nella formazione alvinegra come terzino), che ebbe il privilegio di giocare- prima di vestire la gloriosa casacca della formazione isolana- con campioni del calibro di Pelè e di Carlos Alberto, nel “Pexie” (così è anche sopranominato il Santos), e di Sivori nella Juventus. In queste celeberrime compagini si fece molto apprezzare, dando un notevole contributo sia in fase realizzativa (come centravanti di manovra), sia dal punto di vista umano, conseguendo importanti allori come i tre successi nei campionati paulisti del 1960, 61,62, i due campionati brasiliani del ‘61 e ’62, le due Coppe Libertadores (la Coppa Campioni del Sudamerica) nelle annate ‘62 e ’63 e la Coppa Intercontinentale ottenuta sconfiggendo il fortissimo Benfica di Eusebio sempre nell’anno 1962.

  Questo “solamente” per citare i trofei più importanti. Stagione, quella successiva alla vittoria che portò la formazione brasiliana sul “tetto del mondo”, che vide- inoltre- il giovane e talentuoso campione verde oro trasferirsi all’ottima compagine torinese della Juventus. Un team, quello presieduto dal grande dott. Umberto Agnelli, che cercava in lui un erede dell’ottimo John Charles (trasferitosi al Leeds al termine del campionato 1961-62), ma che invece trovò, nel giocatore sudamericano che stiamo trattando, un centrocampista offensivo (seppur di ottima qualità), ma non un centravanti nel senso più vero e completo del termine. Esperienza, quella piemontese, che terminò- nella prima (ed unica) Stagione in maglia bianconera- con 36 presenze e 12 reti all’attivo tra campionato e coppe, ma (purtroppo) senza nessun trofeo messo in bacheca. Ed è’ (forse) proprio per questa ragione che, nell’annata successiva all’”avventura” torinese, vi fu l’approdo (per 600 milioni di lire, pagati in 4 esercizi) del grandissimo “Nenè” nella formazione cagliaritana allenata dall’ottimo Arturo Silvestri. Una squadra, quella capitanata dal noto difensore Enrico Spinosi (fratello dell’ottimo Luciano), che già annoverava nelle sue fila il grandissimo attaccante Luigi “Gigi” Riva, il talentuoso centrocampista Greatti e il “roccioso” difensore Martiradonna (tanto per citarne alcuni) e dove l’ingresso del calciatore sudamericano consentì di aumentare( non poco) il tasso tecnico e qualitativo del team isolano, creando i presupposti che permisero, al suddetto team, la vittoria( di lì a pochi anni) del celeberrimo Scudetto (nella Stagione 1969-70) che è ancora ricordato con enorme orgoglio da tutti i supporter rossoblù. Un calciatore, il talento proveniente dalla fortissima compagine piemontese, che durante la militanza nella squadra sarda fu schierato prima da ala destra e in seguito come tornante, mettendo a frutto -in codesto ruolo- le sue importanti “doti” calcistiche (la velocità in primo luogo). 

  Peculiarità, quella appena menzionata, che- unita alle sue lunghe falcate e alle sue frequenti “scorribande” - lo fecero diventare un “pilastro”, una bandiera, della compagine sarda nel periodo che andò dalla seconda parte degli anni 60 al primo lustro del decennio successivo, colma- codesta decade- di numerose gioie e soddisfazioni per tutti i tifosi sardi presenti nell’Isola e sparsi in ogni angolo dell’Italia e del Globo. Un giocatore, Nenè, straordinario, non solo in campo, ma soprattutto fuori dal terreno di gioco, con i suoi comportamenti affabili e gentili, sempre disponibile e sorridente verso chiunque, atteggiamenti, quelli appena citati, che lo fecero entrare (ancora di più, nel caso c’è ne fosse bisogno) nel cuore di tutti gli amanti del calcio e non. Una persona, il “brasiliano di Sardegna” (così era stato soprannominato da alcuni) - prima di tutto- “perbene”, vera e genuina, un classico “uomo spogliatoio” e un magnifico compagno di “viaggio” per Riva e compagni, che ha lasciato un ricordo imperituro ed indimenticabile in tutte le persone che hanno i colori rossoblù ben stampati nel proprio cuore. Individui, quelli di fede cagliaritana, che lo inseriscono a pieno titolo nella storia, nella Hall of Fame, della formazione oggi allenata dal mitico Claudio Ranieri. 

  Un “excursus” professionale - quindi - “ricco”, non solo in termini ludici, ma in particolar modo intriso di passione e sentimenti autentici, reali e sinceri (ed è questa la situazione che più ci colpisce) come se ne vedono pochi oggigiorno. Situazione, quella relativa alla carenza di sentimenti, che da una parte ci rattrista, ma che dall’altra ci fa pensare al bel calcio che fu, fatto di uomini con la “U” maiuscola, come l’atleta verde-oro. Nenè, quindi, fiero e valoroso calciatore in campo ma- anzitutto- (ed è questa la cosa più importante) una grande persona fuori, con un’anima “buona” e candida, che è stata, è e sarà - per sempre - nell’affetto e nel cuore di noi tutti.

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