Maggio 1965. Lewiston, Maine. Un ring, due uomini, e un momento che ancora oggi scuote l’immaginario collettivo della boxe. Da una parte Cassius Clay, il giovane e sfacciato campione dei pesi massimi, già ribattezzato Muhammad Ali, un uomo capace di rivoluzionare lo sport con parole e pugni. Dall’altra, Sonny Liston, il “Big Bear”, l’ex re della categoria, l’uomo di ferro che per anni aveva seminato il terrore tra le corde.
Dodici mesi prima, Ali aveva deriso e detronizzato Liston in un incontro che aveva già il sapore del mito. Ma la rivincita, quella notte di maggio, avrebbe consegnato alla storia qualcosa di ancora più potente: il "Phantom Punch", il pugno fantasma, un colpo che ancora oggi è avvolto nel mistero.
Un minuto. Sessanta secondi scarsi dal primo gong.
È tutto ciò che bastò ad Ali per colpire Liston con un destro fulmineo, impercettibile per molti. Liston crollò al tappeto. Una scena surreale, quasi cinematografica. Il colosso che dominava il ring, ora ridotto a una figura inerme sul pavimento. E sopra di lui, Ali, furioso e beffardo, che gli urlava: “Alzati! Combatti come un uomo!”.
L’immagine iconica di quel momento – Ali in piedi, il braccio ancora teso e Liston riverso a terra – è entrata di prepotenza nella leggenda. È diventata il simbolo di un’era, il manifesto visivo del passaggio di testimone da un pugilato rude e spietato a uno spettacolo di tecnica, velocità e spettacolarità.
Fu un KO reale o un copione scritto dietro le quinte? Il pugno, che molti non videro neanche, era così devastante da abbattere un uomo della stazza e della fama di Liston? O fu tutto orchestrato, un match truccato con l’ombra lunga della mafia e delle scommesse? Domande che risuonano ancora oggi, senza una risposta definitiva.
L’arbitro Jersey Joe Walcott fu colto impreparato. Contò Liston a fatica, confuso tra i segnali del cronometrista e il caos del pubblico. Ma il risultato era chiaro: Ali aveva vinto. Ancora una volta.
C’è chi sostiene che Liston si sia buttato per paura. Non paura di Ali, ma degli uomini dietro di lui, della malavita che controllava troppe leve del pugilato di quegli anni. Altri dicono che il colpo, in realtà, fu reale, perfettamente piazzato da Ali, un destro rapido e preciso che colse Liston mentre avanzava, amplificando l’impatto.
Ciò che rende il "Phantom Punch" così affascinante non è tanto la verità – che probabilmente non conosceremo mai – quanto il simbolismo. Quel momento sancì l’ascesa definitiva di Muhammad Ali, non solo come campione, ma come leggenda vivente. Il ragazzo di Louisville non era più solo un pugile. Era una forza della natura, un’icona culturale, un uomo che avrebbe riscritto il modo di essere atleta.
Il pugno fantasma non è solo storia della boxe, è storia dello sport. È quel singolo istante che cambia tutto, che crea un prima e un dopo. Perché nel bene o nel male, quella notte del 1965 segnò l’inizio del regno di Ali, il più grande di tutti i tempi. E Sonny Liston? Rimase al tappeto, ma quel crollo lo rese parte di una leggenda. A volte, anche nel fallimento, si entra nella storia.