Il sole di mezzogiorno, impietoso e alto nel cielo, illumina la scena come fosse il proscenio di un
teatro all’aperto. La platea, gremita di cuori rossoblù, attende il verdetto di una partita che non è
solo una partita, ma un momento di verità. Cinque turni senza vittoria hanno lasciato il Cagliari in
apnea, mentre il Monza, con l’aria di chi non ha nulla da perdere, sbarca nell’isola per portare
scompiglio. Si comincia.
I poeti del gol oggi si chiamano Viola, Gaetano e Luvumbo, tre nomi che, se fossimo in un’epica
greca, sarebbero scolpiti nel marmo di qualche tempio. Viola, che nel primo tempo si divora un gol
di testa facendo disperare la tifoseria, si riscatta con un’incornata degna di un centravanti vero,
finalmente sfruttando i traversoni di Augello, che sembrano scritti con inchiostro fino. Poi entra
Gaetano, che, con la strafottenza di chi sa di avere talento, si permette di segnare su punizione e poi
di sbagliare un gol davanti alla porta, come un pittore che rovina la tela quando ormai il capolavoro
è quasi fatto. Infine Luvumbo, il ragazzo che corre più veloce del vento e che finalmente trova la
gioia di un gol che lo riconcilia con il destino, nel recupero, a partita già segnata.
Ma cominciamo con ordine…
Nel primo tempo il Cagliari ha giocato come chi ha paura di perdere, e il Monza ha ringraziato,
affondando il colpo più con la speranza che con la convinzione. La difesa rossoblù, però, aveva
oggi un guardiano d’eccezione: Mina, il colosso colombiano che ha trasformato l’area in un campo
minato per gli attaccanti avversari, respingendoli con la sicurezza di un doganiere che non lascia
passare nessuno. Caprile, in porta, ha fatto il suo dovere con disciplina e poche sbavature. Il resto
della squadra, invece, ha impiegato un tempo intero per ricordarsi che il calcio si gioca verso la
porta avversaria. Poi, nella ripresa, il Cagliari ha deciso che il pallone poteva smettere di essere un
fardello e tornare a essere un’arma.
È bastato un guizzo di Viola, ed ecco che la luce si è accesa.
Gaetano ha fatto il resto, e Luvumbo ha messo il sigillo.
Se fosse un film, il protagonista indiscusso sarebbe Mina, dominatore della difesa, mastino
inesorabile, condottiero senza paura. Non ha perso un duello, ha annullato ogni avversario con la
facilità con cui un adulto strappa un pallone a un bambino. Ma i comprimari sono stati di lusso:
Augello, che ha servito il pallone giusto nel momento perfetto; Gaetano, con la sua mezz’ora da
funambolo; e Caprile, che ha vegliato sulla porta senza strafare, ma con la sicurezza di chi sa il fatto
suo.
Ha funzionato la difesa, finalmente solida come il granito. Ha funzionato il cinismo nella ripresa,
quando il Cagliari ha capito che non serviva dipingere affreschi, ma semplicemente spingere la
palla oltre la linea bianca. Ha funzionato la voglia di vincere, che era rimasta chiusa in un cassetto
nelle ultime settimane e oggi è tornata a splendere. Non ha funzionato invece il primo tempo,
giocato con la paura di chi si muove in un campo minato. Non ha funzionato Felici, che ha fatto il
fantasma. Non ha funzionato Piccoli, che ha lottato più con sé stesso che con gli avversari. Ma per
oggi si può anche chiudere un occhio.
Qual è il significato di questa vittoria?
Questa vittoria significa ossigeno. Significa che il Cagliari non è morto e non ha intenzione di
morire. Significa che il campionato è ancora lungo, ma che una squadra che sa soffrire e sa reagire è
una squadra che può ancora sperare. Il Monza, oggi, è stato lo sparring partner in una partita che il
Cagliari non poteva permettersi di sbagliare. E non l’ha sbagliata. A volte il calcio è semplice: chi
ha più fame, vince.