"Ha morso due agenti della Polizia penitenziaria che cercavano di calmarlo e farlo entrare nella sua cella". Questo l'ultimo atto di violenza che macchia le mura della casa circondariale di Cagliari-Uta, dove la legge sembra essere diventata un optional e il rispetto per chi indossa una divisa un concetto astratto.
Luca Fais, segretario del Sappe, alza la voce contro una situazione che va degenerando: "Un detenuto di origine nigeriana approfittava della propria stazza fisica per creare disordine e, nel momento in cui veniva spostato ad altro reparto, si scagliava fisicamente verso i poliziotti: uno veniva morso ad una mano mentre l'altro ad un fianco".
È un segnale allarmante, una sveglia che suona forte ma che nessuno sembra voler sentire. La denuncia di Fais illumina su una realtà carceraria al limite del collasso, dove episodi di violenza diventano la norma piuttosto che l'eccezione. "Sono sempre più frequenti", dice senza mezzi termini il segretario del Sappe, e la sua non è solo una voce nel deserto. È l'eco di un disagio profondo che serpeggia tra le sbarre di Uta, dove il carcere detiene "la più alta percentuale di detenuti problematici dell'isola".
Ma quali sono le radici di questo marciume? Secondo Fais, non si tratta solo di episodi isolati ma di un vero e proprio sistema di gestione carceraria che mostra tutte le sue falle. Aggressioni, spaccio di sostanze stupefacenti, possesso di telefoni cellulari: sembra che il carcere di Cagliari-Uta sia diventato un terreno fertile per ogni tipo di illegalità, dove i detenuti "nonostante tutto continuano a permanere nell'istituto a creare disordini nelle sezioni".
La domanda sorge spontanea: fino a quando? Fino a quando le autorità competenti continueranno a girarsi dall'altra parte, lasciando che il carcere di Uta diventi un ring senza regole? La denuncia del Sappe non può e non deve cadere nel vuoto. È tempo di risposte concrete, di interventi mirati che riportino l'ordine all'interno delle mura carcerarie e restituiscano dignità al lavoro degli agenti della Polizia Penitenziaria.
Non si può più tollerare che la violenza diventi routine, che l'aggressione di due agenti diventi solo un titolo di giornale destinato a essere dimenticato. È il momento di agire, di prendere provvedimenti severi contro chi mina le fondamenta della convivenza civile anche dietro le sbarre. La sicurezza degli agenti e la gestione dei detenuti problematici non possono più essere lasciate al caso. Sarà il coraggio delle decisioni a fare la differenza, a trasformare Uta da teatro di violenza a luogo di rieducazione e rispetto. La sfida è aperta, e non accettare significa già aver perso.