Se ne accorgono tutti, ma pochi lo dicono chiaramente: le carceri italiane scoppiano e una fetta consistente dei detenuti non è nemmeno italiana. In Sardegna, la situazione è al limite del collasso, con istituti penitenziari sovraffollati e percentuali di reclusi stranieri che superano la media nazionale, rendendo ancor più difficile la gestione quotidiana.
A rivelarlo sono i dati dell’Ufficio Statistiche del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, aggiornati al 31 gennaio 2025. A Sassari-Bancali, il 34% dei detenuti è straniero (185 su 543), mentre a Cagliari-Uta la percentuale si attesta al 24,5% (185 su 755). Un numero che stride con una realtà carceraria già al collasso: il penitenziario cagliaritano ha un tasso di sovraffollamento del 134,5%, quello sassarese del 119,6%.
“La situazione di Bancali è un record che supera di gran lunga la media nazionale del 31,7%” denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme ODV, che ha elaborato i dati del Ministero della Giustizia.
Ma il vero punto dolente è un altro. I detenuti stranieri vengono trasferiti con maggiore facilità nelle carceri sarde, spesso senza alcun criterio di territorialità della pena. Delinquono altrove, ma ce li troviamo qui. “Anche se il reato è stato commesso nella Penisola – spiega Caligaris – vengono spostati in Sardegna perché non hanno radicamento sul territorio”. In altre parole, un problema che non ci appartiene diventa una nostra emergenza.
L'impatto sulla vita carceraria è evidente. Le Case Circondariali, già messe alla prova dal sovraffollamento, devono far fronte a ulteriori complicazioni: la presenza di detenuti che non parlano la lingua, non comprendono le regole e necessitano di mediatori culturali. Tutto questo mentre gli Agenti Penitenziari sono costretti a fare i salti mortali per mantenere un ordine che diventa sempre più precario.
Diverso il caso delle Colonie Penali, dove gli stranieri – generalmente giovani e in buona salute – possono almeno lavorare e imparare un mestiere. Qui il 60% dei reclusi è straniero (277 su 598 posti), ma la loro presenza ha un senso: producono qualcosa, si rendono utili.
Ora la domanda è una sola: perché la Sardegna deve farsi carico di un problema che non è solo suo? Un interrogativo che nessuno, in alto, sembra voler affrontare.