Cagliari, la parabola del Teatro Massimo: splendore, rovina e rinascita

  La storia di un teatro non è mai soltanto un racconto di mattoni e palcoscenici, ma una cronaca di ambizioni, successi e, talvolta, rovine. Il Teatro Massimo di Cagliari incarna perfettamente questa parabola, un susseguirsi di gloria e oblio, rinascita e distruzione. L’idea di costruire un grande teatro nella città sarda prese forma tra il 1944 e il 1947 per opera di due giovani architetti, Ottone Devoto ed Emilio Stefano Garau. La struttura, modernissima per l’epoca, divenne in breve tempo un punto di riferimento per la lirica e la prosa, accogliendo artisti del calibro di Maria Callas e altri grandi interpreti. Il pubblico cagliaritano visse un’epoca d’oro, finché gli anni Settanta segnarono il primo declino: i proprietari del terreno, la famiglia Merello, decisero di demolire il teatro, cancellando con un colpo di piccone decenni di storia e cultura. 

  Ma i luoghi impregnati di memoria non scompaiono facilmente. Dopo un lungo periodo di inattività, il Teatro Massimo sembrò poter risorgere, fino a quando, nel 1982, un incendio devastante lo ridusse in un cumulo di rovine. Da quel momento, la struttura divenne una città fantasma nel cuore di Cagliari, un rifugio per il degrado e l’incuria, dimenticata dalle istituzioni e violata dagli sciacalli. La svolta arrivò solo nel XXI secolo, quando il Comune di Cagliari avviò un progetto di restauro che culminò con la riapertura ufficiale nel 2009. Durante i lavori, emerse un ulteriore frammento di storia: le fondamenta del teatro celavano cisterne di epoca romana, segno tangibile della stratificazione temporale di un luogo che ha sempre avuto qualcosa da raccontare. Oggi il Teatro Massimo è tornato a essere un faro culturale per la città, una testimonianza vivente di quanto l’arte e la storia siano inestricabilmente intrecciate.

Cronaca

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