C'è un'erosione in corso, e pochi sembrano accorgersene. La lingua si sfalda sotto il peso della ripetizione, dell'automatismo, della pigrizia mentale. Si parla molto, si dice poco. Il lessico si impoverisce, le sfumature scompaiono, i significati si accartocciano fino a ridursi a gusci vuoti. Viviamo nell'epoca dell'iconosfera, dove tutto è immagine, istantanea, velocità. E in questa corsa, il linguaggio – che dovrebbe essere il nostro strumento più raffinato per comprendere e interpretare il mondo – viene schiacciato, ridotto a un balbettio funzionale.
Eppure, chi controlla le parole controlla il pensiero. Chi padroneggia il linguaggio non si lascia dominare dal rumore. Se la lingua si impoverisce, si impoverisce la capacità di pensare, di discernere, di distinguere. E là dove tutti dicono le stesse cose con le stesse parole, non esiste più differenza tra chi pensa e chi ripete.
Ecco perché nasce questa battaglia. Non è nostalgia per un passato di erudizione, non è esercizio accademico fine a se stesso. È una resistenza attiva contro la semplificazione forzata del linguaggio, un atto di ribellione contro l'omologazione del pensiero. Non possiamo accettare che il discorso pubblico si riduca a un brusio indistinto di frasi fatte, che una parola diventi un'etichetta buona per tutto, che il vocabolario si restringa fino a diventare uno schema prefabbricato, incapace di dire il mondo nella sua complessità.
Vogliamo riscoprire la logosfera. Vogliamo riportare al centro la parola pensata, pesata, precisa. Parole che non siano solo suoni, ma strumenti di esplorazione. Parole che abbiano un peso, un significato, un valore. Vogliamo riappropriarci della profondità, perché un mondo che non sa più dire è un mondo che non sa più pensare.
Questa non è una battaglia per pochi, ma un’urgenza collettiva. Parleremo di parole dimenticate, svilite, fraintese. Analizzeremo il loro significato autentico, il loro percorso nella storia, la loro forza espressiva. Perché parlare bene è pensare meglio, e chi sa dire, sa essere.
In questa testata porteremo avanti una rubrica dedicata a questa battaglia: almeno una volta a settimana lanceremo una parola che analizzeremo approfonditamente per riavvertire la pienezza del linguaggio. Non semplicemente come "casa dell'essere", come avrebbe detto Heidegger, ma come parte coessenziale della nostra identità. Identità, dal latino idem, "lo stesso", indica ciò che permane in noi, il nucleo inalterabile che ci distingue e ci definisce. E nel linguaggio, nell'uso preciso delle parole, si riflette la nostra capacità di riconoscerci, di esistere con pienezza nel pensiero e nella comunicazione.
Questa è la nostra sfida. E non intendiamo perderla.