L’eventualità di nuovi dazi o di un inasprimento delle barriere doganali da parte degli Stati Uniti rischia di tradursi in una vera e propria stangata per il vino italiano. A sollevare la questione è Andrea Pala, enologo sardo di lunga esperienza, punto di riferimento per la valorizzazione dei vitigni autoctoni e consulente per numerose cantine in diverse regioni del Paese.
«Non parliamo di un problema che riguarda solo le grandi aziende – sottolinea Pala – ma di una possibile crisi per migliaia di realtà medio-piccole che hanno investito sull’export e che nel mercato statunitense trovano un canale commerciale decisivo».
Gli Stati Uniti rappresentano da sempre una delle principali destinazioni per l’enologia italiana. Qualsiasi aumento dei dazi doganali comporterebbe un ritocco dei prezzi al dettaglio, rendendo le bottiglie italiane meno competitive rispetto a quelle provenienti da paesi terzi – come Cile, Argentina o Australia – che godrebbero di condizioni più favorevoli. «A parità di qualità – avverte l’enologo – il consumatore americano potrebbe semplicemente scegliere un altro vino, solo per una questione di prezzo. E perdere quote di mercato oggi, in un contesto tanto competitivo, significa affrontare un recupero difficile, se non impossibile».
Le ricadute, osserva Pala, potrebbero essere immediate: calo delle esportazioni, riduzione degli ordini da parte degli importatori USA, e di conseguenza sovrapproduzione a livello nazionale. Con l’effetto domino già visto in altri settori: l’eccesso di offerta deprimerebbe i prezzi interni, a discapito di tutta la filiera, «dai vignaioli ai distributori».
Per questo, secondo l’enologo, occorre agire su due fronti. Da un lato, le aziende devono prepararsi con strategie solide: diversificare i mercati, puntando su aree emergenti come Asia, Nord Europa e Canada; rafforzare l’identità dei propri marchi attraverso la narrazione del territorio; e costruire relazioni dirette con buyer e distributori, cercando di salvaguardare i margini.
Dall’altro, Pala invoca un ruolo più incisivo delle istituzioni. «Serve uno sforzo collettivo da parte di consorzi, ICE, regioni e Governo – afferma – per promuovere il vino italiano all’estero, con fiere, missioni commerciali, campagne mirate. Ma soprattutto è indispensabile mantenere un dialogo continuo con l’Unione Europea e con Washington, per evitare barriere che colpirebbero non solo l’economia, ma un intero pezzo dell’identità culturale del nostro Paese».
Un appello chiaro, quello di Andrea Pala, che non indulge a toni catastrofisti ma non nasconde la preoccupazione per una minaccia concreta, che rischia di compromettere uno dei settori simbolo del Made in Italy nel mondo.