La Sardegna, ancora una volta, si trova a rivendicare ciò che le spetta, a reclamare le sue risorse. Con una decisione che profuma di sfida, la giunta regionale ha scelto di aprire un’azione legale contro lo Stato italiano, puntando dritto al cuore del Ministero dell’Economia e delle Finanze per riavere i 1,7 miliardi di euro, “indebitamente trattenuti” secondo la Regione. Una cifra impressionante, che grida giustizia per i sardi e che da troppi anni viene trattenuta sulle carte statali, relegata al misterioso capitolo 1200 del bilancio.
La governatrice Alessandra Todde non usa mezzi termini.
La proposta del MEF di restituire solo la metà della somma in dieci anni – una specie di “saldo e stralcio” – è stata bollata come insufficiente, per non dire offensiva. "Non possiamo accettare compromessi su ciò che ci appartiene,” ha dichiarato ai giornalisti. La delibera che dà il via alla vertenza affida la difesa della Sardegna agli avvocati Massimo Cambule e Floriana Isola dell’Avvocatura regionale, pronti a sostenere la battaglia in tribunale.
Ma al di là delle questioni legali, questa causa è un simbolo. È il tentativo della Sardegna di scuotersi di dosso l’etichetta di terra “da riserva”, spesso dimenticata, ma alla quale lo Stato non esita a chiedere tributi quando si tratta di risorse naturali e ambientali. L’isola si fa portavoce di una battaglia per il rispetto dei propri diritti finanziari, necessari per costruire un’economia autonoma, capace di dare prospettive alle sue comunità senza dipendere da elemosine parziali.
“Questa somma non è solo una questione di cifre – è una questione di dignità per la Sardegna,” sembrano dire i cittadini, mentre la Regione punta i piedi. Questa non è una semplice controversia economica; è una dichiarazione di autonomia. E la Sardegna, oggi, si prepara a farsi valere, a chiedere ciò che le spetta, perché senza quei 1,7 miliardi, viene tradita una promessa di futuro.