La storia di Alfredo De Marco, un bambino di tre anni e mezzo affetto da un tumore maligno molto aggressivo, l’epatoblastoma, ha toccato profondamente migliaia di persone. Purtroppo, dietro questo tragico caso si cela una vicenda dai contorni opachi che ha sollevato numerosi interrogativi. Attraverso la piattaforma GoFundMe, la madre di Alfredo, Maria Raffaella Crudo, ha lanciato una raccolta fondi per raggiungere un obiettivo ambizioso: un milione di euro, dichiarando che questi soldi servirebbero a finanziare una cura sperimentale in Francia che potrebbe salvare il figlio.
La storia ha catturato l’attenzione di influencer e content creator, molti dei quali si sono impegnati a spingere la raccolta fondi sui social. Nel giro di soli tre giorni, la cifra ha raggiunto oltre 700mila euro, dimostrando la potenza della solidarietà online.
Tuttavia, alcune incongruenze hanno sollevato dubbi legittimi e allarmanti sulla reale necessità di questa raccolta.
Secondo quanto dichiarato nella raccolta fondi, la madre di Alfredo ha affermato che il bambino potrebbe essere sottoposto a trattamenti sperimentali presso due rinomati ospedali francesi: l'Institut Gustave Roussy di Parigi e l'Inserm di Bordeaux. Tuttavia, quando Today.it ha contattato entrambi gli istituti per verificare la veridicità della storia, la risposta è stata sorprendente: nessuno dei due ospedali aveva mai sentito parlare di Alfredo De Marco, né tanto meno avevano in corso trattamenti sperimentali per la sua condizione specifica. Le cure sperimentali nell'Unione Europea, va ricordato, non vengono mai fatte pagare ai pazienti, ma vengono finanziate dai sistemi sanitari o dai gruppi farmaceutici.
La vicenda assume una piega ancora più ambigua quando emerge che la madre non ha prodotto alcun preventivo o documentazione ufficiale che confermi i costi richiesti per la presunta cura. Inizialmente, Crudo ha dichiarato di non aver ancora ricevuto preventivi poiché stava cercando di capire come accedere al trattamento, ma l'assenza di dettagli specifici ha sollevato sospetti.
Un altro elemento chiave di questa storia è stato il massiccio coinvolgimento degli influencer. Molti content creator hanno ricevuto messaggi in massa da diversi profili della zona di Siderno, in Calabria, dove vive la famiglia di Alfredo, che li esortavano a promuovere la raccolta fondi.
Stranamente, molti di questi messaggi erano identici, facendo sospettare che qualcuno avesse orchestrato una campagna di contatti predefinita. Questo aspetto ha spinto alcuni influencer a chiedere verifiche, ma la maggior parte si è fermata alla constatazione dell’effettiva malattia di Alfredo, senza approfondire l’esistenza reale della cura e dei costi dichiarati.
A confermare ulteriormente i dubbi ci ha pensato l'Inserm di Bordeaux, che ha chiarito che non esistono cure sperimentali attive per il tipo di tumore di Alfredo, almeno non in uno stadio sufficientemente avanzato per coinvolgere esseri umani. Le ricerche del dottor Christophe Grosset, citato dalla madre di Alfredo, sono infatti ancora nella fase di sperimentazione sugli animali, rendendo impossibile l’inclusione del bambino in tali trattamenti. Il Gustave Roussy, dal canto suo, ha confermato di non aver mai avuto contatti con la famiglia e di non essere al corrente di alcun caso che li riguardasse.
La reazione della madre di Alfredo a queste rivelazioni è stata ambigua. Inizialmente molto attiva sui social, ha improvvisamente deciso di rendere privato il suo profilo Instagram, smettendo di rispondere pubblicamente. Alle domande precise circa la documentazione necessaria per giustificare la raccolta fondi, le sue risposte sono state vaghe. Ha affermato che le richieste esistono e che gli ospedali stanno esaminando la documentazione, ma nessun documento concreto è stato mostrato fino a ora.
Ciò che emerge da questa vicenda è una serie di domande inquietanti. Se non esiste una cura sperimentale per Alfredo in Francia, perché è stata lanciata una raccolta fondi per un milione di euro? Perché sono stati citati due ospedali che non sono coinvolti nel caso? Come è possibile che nessun documento ufficiale sia stato presentato a fronte di una richiesta di tale portata economica?
La storia di Alfredo De Marco ha mostrato quanto potente possa essere la combinazione di una narrazione toccante e la viralità sui social, ma ha anche messo in luce i rischi associati a campagne di raccolta fondi senza verifiche adeguate. Gli influencer, i media e soprattutto chi dona, devono essere consapevoli dell’importanza di verificare le informazioni prima di lanciarsi in appelli che, seppur mossi da buone intenzioni, possono portare a conseguenze inaspettate.
Sebbene Alfredo sia realmente malato, e nessuno metta in dubbio il dramma della sua situazione, è fondamentale chiarire tutti i punti oscuri della vicenda, affinché i fondi raccolti siano gestiti con trasparenza e destinati a scopi realmente utili.