Oggi, 1° ottobre, è la Giornata Mondiale del Caffè, e vien quasi da sorridere pensando a questa celebrazione di un rito che, per noi italiani, è sacro ogni giorno. Non c’è sveglia che tenga senza quel gorgoglio della moka sul fornello, e non c’è pausa che abbia un senso senza quel momento di raccoglimento davanti a una tazzina fumante. Ma il caffè, in realtà, è molto più di una semplice bevanda. È un pezzo della nostra storia, un riflesso delle nostre abitudini e, in un certo senso, una lente attraverso cui osservare le contraddizioni della società.
Iniziamo dai numeri, che parlano sempre chiaro: l’Italia è uno dei maggiori consumatori di caffè al mondo, con una media di circa 6 kg pro capite all'anno. In Sardegna, terra di tradizioni e genuinità, la media non è da meno: c'è chi giura che senza almeno due tazzine al giorno non ci sia modo di affrontare la giornata. Eppure, dietro quel semplice gesto di versare il caffè nella tazza, si nasconde un universo di processi, costi e storie.
La produzione del caffè, infatti, è tutt’altro che semplice.
Dalla piantagione alle nostre case, il chicco fa un viaggio che attraversa continenti, climi e mani laboriose. Viene raccolto a mano, selezionato, tostato e infine macinato. E qui sta la prima contraddizione: un prodotto che richiede tanto sudore e attenzione, spesso finisce per essere svenduto a pochi centesimi all’origine, sfruttando chi lavora nelle piantagioni. Poi arriva da noi, e il miracolo dell’economia italiana trasforma quel chicco in una tazzina che paghiamo a volte anche 1,20 euro al bar, nonostante il costo reale di produzione sia di pochi centesimi. Un piccolo lusso quotidiano, sì, ma a che prezzo?
Ma non basta. La corsa al ribasso del prezzo del caffè ha i suoi riflessi anche sui produttori locali. Basta pensare a quanto costa una confezione al supermercato e domandarsi: chi guadagna davvero da tutto questo? Non certo il contadino del Sud America o dell’Africa che l'ha raccolto.
Siamo tutti contenti di pagare il nostro euro e più al bar, ma ignoriamo che dietro quella tazzina c'è spesso una catena di sfruttamento e disuguaglianza che sembra non avere fine.
Eppure, nonostante tutto, il caffè è anche un collante sociale. Quante chiacchiere, confessioni, affari e persino amori sono nati davanti a una tazzina? È il modo in cui noi italiani ci riconosciamo, da nord a sud, nelle piazze, negli uffici e nelle case. È il "Caffè sospeso" di Napoli, quella vecchia tradizione che invita a lasciare un caffè pagato per chi non può permetterselo. Un gesto di solidarietà che ci ricorda che, tra tante amarezze, esiste ancora un po’ di dolcezza umana.
Forse oggi, nella Giornata Mondiale del Caffè, potremmo fermarci un attimo e riflettere su tutto questo. Sì, il caffè è buono, ci sveglia, ci riscalda, ma dietro quel gusto amaro c’è un mondo da conoscere e rispettare. E chissà, magari la prossima volta che ci versiamo una tazzina, potremmo ricordarci che, oltre al piacere personale, esiste un universo di storie e persone che rendono possibile quel piccolo momento di felicità.