Viviamo un'epoca segnata da una frammentazione culturale e identitaria che non risparmia nessuno: destra, sinistra, femministi, maschilisti, laici, religiosi. Tutti sembrano imprigionati in una rete di ideologie che, anziché offrire soluzioni, alimentano conflitti infiniti e diluiscono l'essenza stessa dell'essere umano.
In nome di una presunta emancipazione o di un ritorno a valori tradizionali, si moltiplicano battaglie politiche e sociali che finiscono per svuotare il senso profondo della convivenza civile.
Prendiamo il conservatorismo, per esempio. Da sempre nostalgico di un passato che non è mai esistito, oggi coltiva l'idea di una società armoniosa, dove cultura e identità sono saldamente ancorate a un ideale immutabile. Ma chi può onestamente credere che questa visione sia realizzabile, specialmente in un mondo globalizzato che ha reso obsolete tutte le vecchie certezze? Questi conservatori sembrano più impegnati a dissotterrare fantasmi che a proporre soluzioni concrete per le sfide del presente.
E dall'altro lato? I multiculturalisti e i progressisti hanno ridotto la cultura a una collezione di marcatori senza reale significato. Le identità si svuotano, si secolarizzano o, peggio, si trasformano in meri slogan. Il corpo delle donne, in particolare, è diventato il campo di battaglia delle ideologie contemporanee.
Da un lato, il femminismo radicale lo santifica come simbolo di libertà, dall'altro, i fondamentalismi religiosi lo sottomettono a norme autoritarie. Ma in tutto questo, dov'è finito l'essere umano? Dove si colloca l'individuo?
Né la destra né la sinistra sembrano capaci di rispondere a questa domanda.
La deculturazione è ormai realtà, e le ideologie hanno trasformato l'umanità in un puzzle di identità frammentate e reciprocamente ostili. Il discorso pubblico, alimentato dalla retorica dell'inclusività e delle libertà personali, è diventato una pantomima. La pedagogia autoritaria che molti attori politici oggi sostengono – di destra e di sinistra – non fa altro che imporre modelli di conformismo che soffocano ogni tentativo di autentica espressione individuale.
Non sorprende, quindi, che l’umanità si trovi oggi a vivere una crisi di immaginazione collettiva.
Abbiamo smarrito la capacità di immaginare un futuro in cui le differenze non siano il pretesto per ulteriori divisioni, ma una ricchezza da valorizzare. Siamo stati talmente travolti dalle ideologie che difendono un multiculturalismo di facciata o un ritorno a presunti valori tradizionali, che abbiamo dimenticato il significato della parola "comunità". Le politiche identitarie hanno frantumato ogni tessuto sociale, alimentando una lotta di tutti contro tutti.
E che dire del populismo? Da destra o da sinistra, poco cambia: è un sintomo della crisi dell'umanismo. Invece di unirci, ci divide ulteriormente, offrendo risposte semplicistiche a problemi complessi. Abbiamo visto la politica ridursi a un gioco di specchi, in cui le persone non sono più cittadini, ma pedine da manipolare.
Siamo di fronte a una crisi profonda dell'umanesimo, una crisi che non risparmia nessuno. La cultura è ridotta a uno scontro tra fazioni ideologiche che cercano di imporre la loro visione del mondo senza alcuna apertura al dialogo. L'essere umano è svanito dall'orizzonte, sostituito da etichette, slogan e battaglie identitarie che svuotano di senso ogni tentativo di costruire un futuro comune.