L’Italia si sveglia con una notizia che sa di incubo: una ragazzina di appena 12 anni, studentessa della scuola media Vivaldi a Santa Maria delle Mole di Roma, porta con sé un coltello da cucina e, con freddezza, si avventa su un coetaneo, colpevole, a suo dire, di aver fatto “la spia” per una prova di copiatura.
La scena, che avrebbe fatto inorridire chiunque, si svolge nel cortile della scuola, un luogo che dovrebbe essere protetto e sicuro. Non ci sono ferite gravi, per fortuna, ma il ragazzino finisce in ospedale, sanguinante e scosso. Una tragedia evitata per miracolo? O solo il sintomo di un malessere più profondo?
Siamo di fronte a un fallimento collettivo, a una deriva morale che ha radici in una società sempre più disorientata. Stiamo parlando di ragazzi che, non avendo ancora imparato a distinguere tra giusto e sbagliato, non trovano una guida né nella scuola né, a quanto pare, nelle figure adulte. È in questo vuoto che la giovane trova spazio per portare avanti un’idea di “giustizia” tutta sua, una giustizia violenta che ha ben poco a che fare con i valori che dovremmo insegnare ai nostri figli. La responsabilità? È nostra, come adulti e come società.
Ci chiediamo: dove stiamo andando? Le scuole diventano sempre più palcoscenici di violenza cieca, di bullismo feroce, di una vendetta che sfugge a ogni logica. E qui non si tratta di un’"azione isolata". È il sintomo di un sistema che non insegna più il rispetto, di famiglie che forse non riescono o non vogliono insegnare il valore delle regole. La colpa è anche di una società che ha smesso di educare e che sembra non avere più alcun controllo.
I carabinieri ora indagano sul clima di quella scuola, come se solo lì potesse nascondersi la chiave di un gesto così assurdo. Ma la verità è che i nostri istituti scolastici, troppo spesso lasciati soli, sono stati svuotati dei valori educativi, della capacità di trasmettere responsabilità e civiltà. Ogni giorno diventano sempre meno luoghi di crescita e sempre più spazi dove gli adulti abbandonano la loro funzione, delegando tutto al caso.
Ora, cosa accadrà a questa ragazzina? Non è imputabile, certo, ma qualcuno si preoccuperà davvero di capire cosa l'ha portata a un gesto così? Perché, parliamoci chiaro, punire il “traditore” con un coltello non è semplicemente un atto di rabbia, è un atto che parla di un vuoto spaventoso, di valori assenti e di una rabbia che cresce senza freni. Ed è il riflesso di un mondo adulto che è colpevolmente sordo e cieco.
Non basta un rapporto alla Procura per arginare una situazione ormai fuori controllo. Serve un esame di coscienza collettivo. Serve riscoprire il ruolo educativo della scuola e quello di una famiglia che insegni che la giustizia non è violenza, che la vita non è una serie di regolamenti di conti. Altrimenti, continueremo a leggere storie come questa, con la terribile consapevolezza di essere complici, se non artefici, della deriva della nostra stessa società.