Assolto Bersani: dare del “coglione” a Vannacci era solo un artificio retorico

  Pier Luigi Bersani ha definito il generale Roberto Vannacci un “coglione” dal palco della Festa dell’Unità di Ravenna. Il tutto si svolgeva lo scorso 1° settembre 2023, durante un’intervista pubblica trasmessa anche in diretta streaming sul canale YouTube del Partito Democratico. L’ex segretario del PD, giocando sul concetto di “bar Italia” come luogo di opinioni taglienti e a volte offensive, ha posto una domanda retorica che ha sollevato non poche polemiche: “Ma se in quel bar lì è possibile dare dell’anormale a un omosessuale, è possibile anche dare del coglione a un generale?”.

  Vannacci, già figura divisiva e conosciuto per il suo libro “Il mondo al contrario” che aveva attirato critiche e accuse di omofobia, non ha preso alla leggera l’offesa. Il generale ha sporto querela per diffamazione aggravata, e il pubblico ministero ha chiesto una condanna per Bersani, con una multa di 450 euro. A supporto della richiesta del PM, la Digos aveva fornito prove audio-video tratte dall’evento, dimostrando l’ampia diffusione dell’insulto. Ma il giudice per le indagini preliminari, Corrado Schiaretti, ha capovolto la decisione: secondo il giudice, le parole di Bersani non erano diffamatorie. Anzi, il Gip ha motivato l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, aggiungendo che Bersani non intendeva offendere realmente il generale. Per Schiaretti, il contesto e il tono ironico trasformano l’insulto in un’allegoria, una critica ironica, in linea con la carriera e lo stile di Bersani. E così, il tribunale ha concluso che, in questo caso, l’insulto era solo un “artificio retorico” volto a condannare l’uso della violenza verbale, indipendentemente dal bersaglio. 

  D’altronde, il messaggio di Bersani mirava, secondo il giudice, a sottolineare un punto: non è accettabile utilizzare parole offensive verso nessuno, qualunque sia l’orientamento sessuale o il ruolo professionale. Un allegoria, dunque, ben diversa dall’accusa di diffamazione. Il caso, però, solleva interrogativi: può davvero l’insulto essere “interpretato” a seconda della fazione politica? Vannacci, che nei suoi scritti non aveva offeso nessuno direttamente, viene bollato in un evento pubblico con una definizione che per altri sarebbe considerata altamente offensiva. La sentenza ha un effetto chiaro: mentre certe parole diventano reato per alcuni, per altri restano semplici figure retoriche. In questo “mondo al contrario”, in cui lo stesso termine può essere interpretato come allegoria o insulto a seconda di chi lo pronuncia, l’Italia si confronta ancora una volta con un sistema che a molti sembra applicare due pesi e due misure.

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