Il Movimento 5 Stelle è nato con un grido di ribellione, quel celebre “Vaffa!” che rompeva con la politica tradizionale, attirando un elettorato disilluso, stanco e affamato di cambiamento. Era il 2007, l'anno del primo Vaffa-Day, quando Beppe Grillo si presentava come il profeta di una rivoluzione anti-sistema. Si voleva spazzare via tutto: i privilegi della casta, la corruzione, la distanza tra politica e cittadini.
Una promessa di purezza che, a distanza di poco più di quindici anni, appare ridotta in frantumi.
La transizione del Movimento 5 Stelle dal partito antisistema al partito del “tutti contro tutti”, fino al definitivo scivolamento a sinistra sotto la guida di Giuseppe Conte, rappresenta una delle mutazioni più rapide e spiazzanti nella storia della politica italiana. Da movimento di rottura, capace di raccogliere il malcontento trasversale, a una forza che litiga pubblicamente con il suo fondatore, votando a maggioranza per ridimensionare il ruolo di Grillo come garante.
Un passaggio che parla da sé: il Movimento nato per gridare contro il potere ha finito per divorarsi dall’interno, in un continuo scambio di accuse e regolamenti di conti.
Nel mezzo, c'è stata una parabola che sarebbe degna di studio, se solo qualcuno avesse la lucidità di analizzarla. Il Movimento 5 Stelle ha incarnato per un periodo il sogno (o l’illusione) di una politica diversa, fatta di trasparenza, partecipazione e democrazia diretta. Poi, però, sono arrivati i compromessi: l’alleanza con la Lega di Salvini, il governo con il PD, il doppio cambio di direzione che ha visto Conte emergere come il leader capace di trasformare un movimento disorganizzato in un partito vero e proprio.
Eppure, in questa metamorfosi, il Movimento ha perso progressivamente l’anima. Da partito che voleva rappresentare l’antitesi del potere, si è trasformato in una macchina politica che segue le stesse logiche di opportunismo e pragmatismo che un tempo denunciava. L’ironia della storia è evidente: oggi, la forza che si proponeva come il megafono del popolo è finita per somigliare sempre più al Partito dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini.
Il recente scontro tra Grillo e Conte, con il voto che di fatto ridimensiona il fondatore, sancisce la fine di un’epoca. Non c’è più spazio per l’utopia grillina in un partito che ha scelto di puntare tutto sulla figura di Conte, un leader che non fa mistero di voler competere per l’elettorato di destra. L’appoggio al salario minimo e alle politiche sociali progressiste sembra ormai un ricordo lontano, spazzato via dalla volontà di attrarre il voto moderato e conservatore, spostandosi su temi che strizzano l’occhio a quel centro-destra che un tempo rappresentava il nemico giurato.
Il Movimento, nato per distruggere il sistema, si è piegato alle logiche della politica che tanto detestava. Non c’è più nulla di rivoluzionario nel litigio tra Conte e Grillo, né nell’applicazione delle dinamiche interne che assomigliano sempre più a quelle di una qualsiasi forza politica tradizionale.
Il “Vaffa!” che un tempo era diretto al potere si è trasformato in un “Vaffa” reciproco, rivolto da una parte all’altra del Movimento. Un epilogo amaro, che dimostra come l’antisistema possa essere facilmente risucchiato dal sistema stesso, perdendo per strada non solo i consensi, ma anche la propria identità.
E così, mentre il Movimento 5 Stelle vira definitivamente verso una sinistra dell'establishment, abbandonando le sue radici più progressiste, resta una domanda: cosa resterà di questa esperienza politica? Probabilmente, un monito. Che le rivoluzioni senza un progetto solido e coerente finiscono per svanire, lasciando dietro di sé solo disillusione e macerie.