C’è qualcosa di tragicomico nel rituale settimanale degli scioperi dei trasporti, ormai diventati la nuova moda del venerdì. Proprio il giorno in cui milioni di italiani vorrebbero soltanto tornare a casa o, per i più fortunati, raggiungere il bar di fiducia per un aperitivo. Invece no, devono combattere con autobus fantasma e treni che scompaiono dalla circolazione.
Venerdì prossimo, festa di Santa Lucia, sarà l’ennesimo giro sulla giostra dello sciopero: 24 ore di paralisi annunciate.
Al centro del caos, ancora una volta, c’è il braccio di ferro tra il ministro dei Trasporti Matteo Salvini e i sindacati. Salvini, da buon combattente, ci ha provato: un incontro, dichiarazioni di buonsenso, persino un’offerta generosa di ridurre la protesta a sole 4 ore. Ma dall’altra parte, l’Usb non ha voluto sentire ragioni, rimanendo saldo sui suoi passi come un mulo di montagna.
Così, eccoci qua: pendolari pronti a subire l’ennesima odissea e sindacalisti che alzano il pugno chiuso per dimostrare chi comanda. Certo, lo sciopero è sempre di venerdì: sarà un caso o un modo per fare il weekend lungo? perché non si sciopera mai di lunedì, quando il ritorno al lavoro pesa più di un macigno?
Il punto, però, è un altro.
Questo gioco delle parti, con scintille che sembrano promettere solo fuoco e fiamme, rischia di trasformare gli scioperi in un’abitudine noiosa, se non addirittura inutile. Perché se da un lato i lavoratori vogliono rivendicare i loro diritti, dall’altro c’è un intero Paese che si chiede: ma davvero non c’è un altro modo per risolvere queste questioni senza mandare tutto in tilt?
Una cosa è certa: in attesa di un accordo – ammesso che arrivi – i soliti cittadini pagheranno il conto, e non sarà certo quello dell’aperitivo.