La Sardegna ha ribadito con fermezza il proprio rifiuto all’ipotesi di ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari. Una posizione già espressa nel referendum del 2011, dove il 97% dei votanti si era dichiarato contrario, e riaffermata negli ultimi giorni dalla Regione attraverso un documento che evidenzia le "gravi criticità" ambientali, paesaggistiche e socioeconomiche di un’eventuale installazione.
Secondo l’assessora regionale dell’Ambiente Rosanna Laconi, si tratta di una battaglia che rappresenta "il sentimento unanime dei cittadini sardi" e una priorità assoluta per la tutela dell’isola. Tuttavia, sorge una domanda provocatoria: nel caso in cui il progetto venisse imposto dagli apparati centrali, è possibile considerare lo stoccaggio delle scorie nucleari come una potenziale fonte di guadagno?
Esperienze internazionali dimostrano che i territori che hanno accolto infrastrutture nucleari hanno ricevuto ingenti compensazioni economiche. La Francia, ad esempio, ha stanziato milioni di euro per le comunità locali di Bure, dove è stato costruito un sito di stoccaggio. Tali fondi sono stati utilizzati per infrastrutture, servizi e creazione di posti di lavoro.
La Sardegna, però, ha caratteristiche uniche.
La sua economia, fondata su turismo, agricoltura e il valore del paesaggio, rischierebbe danni irreparabili che potrebbero superare qualsiasi compensazione economica. La percezione del rischio nucleare potrebbe compromettere la reputazione dell’isola come meta turistica e danneggiare settori vitali per il suo sviluppo.
Resta il nodo del consenso. Un’imposizione da parte dello Stato centrale aggraverebbe il senso di emarginazione già presente in Sardegna, rischiando di generare tensioni politiche e sociali difficilmente gestibili.
Di fronte a questo scenario, la Sardegna deve affrontare la questione con lucidità. Difendere il territorio è un dovere, ma un’opposizione fondata solo sul "no" potrebbe lasciare spazio a decisioni calate dall’alto. Occorre prepararsi a ogni eventualità, negoziando condizioni favorevoli nel caso il progetto diventasse inevitabile.
La Sardegna non può permettersi di giocare solo in difesa. In una partita così delicata, dove politica, economia e ambiente si intrecciano, la strategia giusta potrebbe fare la differenza tra un’imposizione subita e una posizione di forza negoziata.