La domanda è lecita: se Apple non ha nulla da nascondere, perché scucire 95 milioni di dollari per risolvere una causa sul presunto spionaggio da parte di Siri? L’azienda di Cupertino si difende con un’alzata di scudi: «Apple nega e continuerà a negare qualsiasi illecito», si legge nella proposta di accordo che attende l’ok del giudice. Peccato che, a guardare i numeri, il gigante tech sembra disposto a pagare pur di chiudere la faccenda e far calare il silenzio.
La storia è iniziata cinque anni fa, quando un gruppo di utenti ha fatto causa, sostenendo che Siri ascoltasse conversazioni private attraverso iPhone, iPad e altri dispositivi Apple. Tutto partirebbe dall’«attivazione involontaria» dell’assistente digitale, capace di registrare conversazioni che, secondo l’accusa, sarebbero poi finite nelle mani di terzi.
Un’accusa pesante, che Apple ha sempre respinto, ma che ha portato alla promessa di eliminare ogni registrazione.
E non è solo Apple a finire nell’occhio del ciclone. Anche Amazon, nel 2023, ha pagato oltre 30 milioni di dollari alla Federal Trade Commission per risolvere una causa simile, che coinvolgeva le telecamere Ring Doorbell e Alexa. Pare che spiare – o essere accusati di farlo – sia diventato un business collaterale nel mondo della tecnologia.
Ma torniamo al punto: se Siri non ascolta e Apple è davvero senza macchia, perché mettere mano al portafoglio? Forse per evitare che la causa diventi un caso mediatico ancora più grande? O magari, come direbbe qualcuno, perché c’è più di un fondo di verità?
La certezza, per ora, è che l’azienda della mela preferisce pagare piuttosto che rischiare una battaglia legale più lunga e più imbarazzante. E agli utenti, alla fine, rimane una domanda: Siri è davvero lì per aiutarci, o sta solo aspettando il momento giusto per ascoltare?