I Papi, storie e segreti: Stefano I (Roma, ... – Roma, 2 agosto 257)

Papa Stefano I fu il 23° vescovo di Roma, eletto dopo la morte di Papa Lucio I il 5 marzo 254 e consacrato il 12 maggio dello stesso anno. Il suo breve pontificato, durato fino al 2 agosto 257, fu caratterizzato da importanti controversie teologiche che avrebbero influenzato profondamente il successivo sviluppo della dottrina cattolica, in particolare riguardo alla validità del battesimo e alla riconciliazione dei cristiani caduti durante le persecuzioni. Nonostante il suo pontificato durò appena tre anni, Stefano I lasciò un'impronta significativa nella storia della Chiesa primitiva, affermando l'autorità della sede romana nelle questioni dottrinali e disciplinari e contribuendo a definire principi teologici che sarebbero rimasti fondamentali nei secoli successivi. Secondo il Liber Pontificalis: STEFANO [I; maggio 254-2.8.257], nato a Roma, figlio di Giovenale, resse la sede per 6 anni, 5 mesi e 2 giorni. Fu coronato dal martirio. Fu vescovo al tempo di Valeriano e di Gallicano [Gallieno], e di Massimo [253], al terzo di Valeriano e al secondo di Gallicano [Gallieno, 255]. A suo tempo fu mandato in esilio; in seguito, per volontà di Dio, ritornò sano e salvo alla Chiesa. Dopo 34 giorni fu arrestato da Massimiano e messo in prigione con 9 sacerdoti, 2 vescovi, Onorio e Casto, e 3 diaconi, Sisto, Dionisio e Gaio. Lì in prigione, presso l'Arcus Stillans, tenne un sinodo e pose tutti i vasi della chiesa e la cassa del denaro sotto il controllo del suo arcidiacono Sisto. Dopo 6 giorni uscì sotto scorta e fu decapitato. Decretò che i sacerdoti e i diaconi non usassero i paramenti consacrati per gli usi quotidiani, ma solo in chiesa. Eseguì due ordinazioni di dicembre, 6 sacerdoti, 5 diaconi; per vari luoghi 3 vescovi. Fu sepolto nel cimitero di Callisto sulla Via Appia il 2 agosto. La sede vescovile rimase vacante per 22 giorni. Stefano I nacque a Roma in una data imprecisata. Le informazioni sulla sua vita prima dell'elezione al soglio pontificio sono scarse. Sappiamo che fu eletto vescovo di Roma alla morte di Lucio I, avvenuta il 5 marzo 254, e venne consacrato il 12 maggio dello stesso anno. Il contesto storico in cui si svolse il suo pontificato era particolarmente complesso: la Chiesa attraversava un periodo di relativa pace dalle persecuzioni esterne, ma era attraversata da profonde divisioni interne, principalmente legate alle conseguenze delle precedenti persecuzioni e a questioni dottrinali emergenti. Durante il suo breve pontificato, Stefano I adottò diversi provvedimenti di carattere amministrativo interno. Secondo quanto riportato dal Liber Pontificalis, ordinò sei preti, cinque diaconi e tre vescovi. Inoltre, stabilì il divieto per i sacerdoti di utilizzare le vesti liturgiche al di fuori delle chiese, una disposizione che avrebbe contribuito a definire la distinzione tra lo spazio sacro e quello profano nella vita ecclesiastica. Questi provvedimenti riflettono la sua attenzione all'organizzazione interna della Chiesa romana e alla dignità delle funzioni liturgiche. La questione più significativa che caratterizzò il pontificato di Stefano I fu la controversia sulla validità del battesimo amministrato dagli eretici. Secondo la prassi romana, sostenuta da Stefano, i cristiani battezzati in comunità eretiche che desideravano entrare nella Chiesa cattolica non dovevano essere ribattezzati, purché il sacramento fosse stato amministrato nel nome della Trinità[3]. Questa posizione si basava sulla convinzione che l'efficacia del sacramento non dipendesse dalla condizione morale o dall'ortodossia del ministro, ma dalla corretta forma e intenzione nel conferirlo. Per Stefano, dunque, era sufficiente accogliere questi convertiti mediante l'imposizione delle mani come segno di riconciliazione, senza ripetere il battesimo. La posizione di Stefano I entrò in aperto contrasto con quella sostenuta dalle chiese dell'Africa settentrionale, guidate da San Cipriano, vescovo di Cartagine. Per Cipriano e i vescovi africani, il battesimo amministrato al di fuori della Chiesa cattolica era considerato invalido e doveva essere ripetuto. Questa divergenza non era semplicemente una questione disciplinare, ma rifletteva differenti concezioni ecclesiologiche: per Cipriano, infatti, i sacramenti potevano essere efficaci solo all'interno della vera Chiesa, poiché lo Spirito Santo non poteva agire attraverso eretici o scismatici. La controversia si intensificò quando Cipriano convocò un concilio di vescovi africani nell'autunno del 255 (o nella primavera del 256), le cui deliberazioni furono inviate a Roma nel tentativo di far riconoscere la prassi africana come l'unica ammissibile. Stefano I rispose riaffermando solennemente la tradizione romana e ordinando che anche la chiesa d'Africa si uniformasse ad essa, pena la scomunica. Questa affermazione di autorità da parte del vescovo di Roma provocò una forte reazione in Africa, dove Cipriano convocò un nuovo concilio generale delle chiese africane il 1° settembre 256, durante il quale 87 vescovi riconfermarono all'unanimità la loro posizione sulla nullità del battesimo degli eretici. Un primo motivo di dissenso tra Stefano I e Cipriano nacque a proposito dei vescovi spagnoli Basilide e Marziale, rispettivamente di Merida e di León e Astorga, che erano stati destituiti in quanto lapsi (cristiani che avevano rinnegato la fede durante le persecuzioni)[1]. Stefano, convinto della loro innocenza, li reintegrò nelle loro sedi episcopali, mentre il concilio cartaginese dell'autunno 254, sotto la presidenza di Cipriano, emanò una sentenza opposta, comunicandola direttamente alle chiese spagnole interessate. Questo episodio evidenzia la crescente tensione tra la sede romana e le chiese africane riguardo all'esercizio dell'autorità episcopale. Un'altra vicenda significativa fu quella riguardante Marciano, vescovo di Arles, che aveva aderito alle idee rigoriste di Novaziano sulla riconciliazione dei lapsi, negando la possibilità di perdono e riammissione nella Chiesa per coloro che avevano ceduto durante le persecuzioni. Marciano era stato denunciato a Stefano da Faustino, vescovo di Lione, e da altri vescovi delle Gallie, ma il papa inizialmente non intervenne. Ciò spinse Cipriano a scrivere direttamente a Stefano, sollecitandolo con toni piuttosto imperativi a scomunicare il vescovo di Arles. Anche in questo caso, la controversia rifletteva non solo questioni disciplinari, ma differenti concezioni del ruolo dell'autorità papale e dell'autonomia delle chiese locali. Il conflitto tra Stefano I e Cipriano va oltre le specifiche controversie che ne furono l'occasione, rivelando concezioni divergenti dell'autorità ecclesiastica e della natura della Chiesa[1]. Cipriano, pur riconoscendo l'importanza della "cattedra di Pietro" e difendendo l'unità della Chiesa contro gli eretici, concepiva ogni vescovo come pienamente autorevole nella propria diocesi, e vedeva l'episcopato come un corpo unito da vincoli di concordia e unità reciproca, piuttosto che organizzato gerarchicamente. Stefano I, al contrario, sembra aver avuto una concezione più monarchica della Chiesa e della gerarchia episcopale. È significativo che egli sia stato il primo vescovo di Roma a richiamarsi esplicitamente al passo evangelico di Matteo 16,18 ("Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa") per affermare solennemente il primato della sede romana. Questo riferimento, utilizzato dallo stesso Cipriano per sostenere l'origine divina dei diritti dell'episcopato, veniva reinterpretato da Stefano in chiave specificamente romana, inaugurando una nuova fase nell'elaborazione della dottrina del primato papale. Stefano I morì il 2 agosto 257, durante la persecuzione dell'imperatore Valeriano. Sebbene una tradizione posteriore lo consideri martire, questa tradizione non appare in documenti storici anteriori al VI secolo e non è considerata attendibile dagli storici moderni. Fu sepolto nel cimitero di San Callisto a Roma.

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