Ricci di mare e leggi di terra: La battaglia perduta della legalità in Sardegna

  Nell'isola che più di ogni altra ha fatto del mare il proprio emblema e dispensa di delizie, si è consumato l'ultimo atto di una commedia all'italiana dove il rispetto delle leggi sembra più un'opzione che un obbligo. 

  "Sequestrati 11 kg di polpa di ricci in ristoranti e banchetti. Operazione Forestale a Cagliari e Quartu, multe per 22mila euro." Così si apre l'ultima pagina di un libro che la Sardegna avrebbe preferito non dover scrivere. Il Corpo Forestale dello Stato, in un'operazione degna di un'epica battaglia contro i mulini a vento, ha scoperto un'evasione che sa tanto di sfida: 11 chili di gonadi di riccio confezionate illegalmente, 3.000 ricci sotto misura e 12 chili di pesce, frutto di una pesca che di sportivo ha solo l'arbitrarietà con cui si sceglie di ignorare le regole. 

  "Elevate nove contravvenzioni per 22mila euro," ci informa l'autorità, in un tentativo di mettere una pezza su una ferita che sanguina da troppo tempo. Tra le pieghe di questa vicenda, ciò che colpisce non è tanto l'entità del sequestro, quanto la sfrontatezza di un modus operandi che sfida apertamente il concetto stesso di legalità. In due ristoranti del capoluogo, il furto ai danni del mare è stato perpetrato senza neanche il tentativo di nascondere le proprie tracce: 3 chili di gonadi di ricci di mare, sequestrati perché privi di etichette e documenti di provenienza. Un insulto alla trasparenza e alla tutela del consumatore, ridotto a complice inconsapevole di un crimine ambientale. Ma è forse il caso dell'ambulante di Quartu a racchiudere, in sé, tutto il cinismo di questa vicenda: "polpa di ricci nascosta in una borsa frigo in un tombino", da cui veniva prelevata a richiesta dei clienti. 

  Uno stratagemma degno del miglior illusionista, se non fosse che a sparire non è il coniglio nel cappello, ma la dignità di un'intera filiera produttiva. In questo scenario, i 21 tra ristoranti, pescherie e banchetti ambulanti finiti sotto i riflettori rappresentano non solo l'epicentro di una pratica illegale, ma il sintomo di una malattia più profonda che affligge il rapporto tra l'uomo e il mare. Un mare che, generoso, continua a offrire i suoi frutti, ignaro del fatto che, sulla terraferma, il rispetto delle regole è diventato una specie in via di estinzione. 

  L'operazione condotta a Cagliari e Quartu Sant'Elena si rivela un grido d'allarme che non può e non deve essere ignorato. Un monito a tutti coloro che pensano di poter eludere le leggi in nome del profitto, dimenticando che il mare, come la terra, non è un patrimonio da saccheggiare, ma un dono da custodire. E in questo sforzo, la vigilanza del Corpo Forestale dello Stato, pur eroica, non basta. Serve un cambio di rotta collettivo, un ritorno a quella coscienza civile che sembra essersi perduta nelle acque turbolente dell'avidità.

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