Via Don Sturzo, Elmas, civico 3. Di fronte passa una pista ciclabile nuova, liscia e silenziosa. Dietro, nascosti tra l’erba e il tempo, due container arrugginiti raccontano un’altra storia. Dentro ci vive Bruno Dessì, 70 anni, con un amico oggi ricoverato e un cane di 21 anni, più vecchio di molti dei bambini che passano in bici lì davanti. «Io ho il diabete e soffro d’ansia, lui ha la sacca per la stomia. E il cane ormai è cieco», racconta Bruno. Non chiede pietà. Solo ascolto. Da 25 anni vive in quei container, residui della base militare di Decimomannu, usati un tempo per depositare materiali e poi assegnati, dopo l’alluvione di un quarto di secolo fa, a chi non aveva più nulla. Oggi, insieme a lui, vivono altre quattro famiglie. Tra muffa, calore insopportabile d’estate e freddo umido d’inverno. Blatte e ratti fanno parte del paesaggio, insieme alle crepe e all’odore stagnante di ruggine e plastica cotta dal sole. Non è una baraccopoli. È una rimozione collettiva, un angolo ignorato dalla retorica dell’accoglienza, da quella dei diritti e persino dai piani urbanistici. Eppure è lì, nel cuore di Elmas, a due passi da una pista ciclabile e da palazzi con aria condizionata. «Speriamo solo di avere, un giorno, una casa vera. Dignitosa. Vivibile». La speranza è l’unica cosa che qui non si è ossidata.