In una maratona musicale che ha sfiorato le cinque ore di
diretta televisiva - complici anche imperdonabili problemi
tecnici - il Teatro Ariston si è trasformato in un
caleidoscopico palcoscenico dove passato e presente si
sono fusi in un esperimento non sempre riuscito. La serata
delle cover del Festival di Sanremo 2025 ha offerto uno
spettacolo che, come un abito di alta sartoria mal calibrato,
ha alternato momenti di raffinata eleganza a cadute di stile
tanto nel guardaroba quanto nelle performance.
Carlo Conti, vestito con un rigore quasi monacale, ha
orchestrato questo carnevale musicale con la precisione di
un metronomo svizzero, accompagnato da una Geppi
Cucciari che ha saputo dosare ironia e presenza scenica
attraverso tre cambi d'abito, ciascuno più audace del
precedente. La co-conduzione di Mahmood ha aggiunto un
tocco di contemporaneità, anche se il suo guardaroba
sembrava in guerra con le tarme.
Il paradosso della serata si è manifestato nella scelta dei
brani: in quello che dovrebbe essere il tempio della canzone
italiana, troppi artisti hanno optato per cover internazionali.
"The Sound of Silence", "Skyfall", "Say Something" -
sembrava più Eurovision che Sanremo. Una scelta che ha
fatto storcere il naso ai puristi, ma che ha anche evidenziato
come la musica italiana contemporanea cerchi
disperatamente di dialogare con il panorama internazionale.
Tra i momenti più surreali, impossibile non citare il duetto tra
Lucio Corsi e Topo Gigio in "Nel blu dipinto di blu", che ha
dimostrato come la follia, quando ben calibrata, possa
trasformarsi in genio. Un'operazione che sulla carta
sembrava un azzardo da cabaret si è rivelata uno dei
momenti più autentici della serata.
I look hanno raccontato una storia parallela alle
performance: da Tony Effe, ancora risentito per la rinuncia
forzata alla sua collana brandizzata e pronto a lanciare
dissing sui social verso Carlo Conti, a Marcella Bella,
talmente avvolta nel rosso da poter essere eletta Papa al
prossimo conclave. Il guardaroba degli artisti ha oscillato tra
l'eleganza ricercata e quello che sembrava un casting per
una serie teen su Netflix.
La scaletta, meticolosamente organizzata, ha dovuto fare i
conti con l'imprevisto: l'esibizione di Bresh con Cristiano De
André in "Crêuza de mä" è stata ripetuta ben due volte e
mezzo a causa di vergognosi problemi tecnici che hanno
fatto storcere il naso a molti, considerando che parliamo del
servizio pubblico.
Un intoppo che ha contribuito a dilatare
ulteriormente una serata già monstre.
La manifestazione ha dimostrato come il Festival, nel
tentativo di accontentare tutti - tradizionalisti e innovatori,
giovani e meno giovani - rischi talvolta di perdere la bussola.
Eppure, proprio in questo caos apparente, nella mescolanza
di generi, stili e generazioni, risiede il fascino perenne di
Sanremo: uno specchio deformante ma sincero della nostra
cultura pop.
Non tutti gli esperimenti sono riusciti, non tutti i duetti hanno
funzionato, non tutti i look hanno convinto. Ma forse è
proprio questo il bello di una serata delle cover: la libertà di
osare, di sbagliare, di tentare strade nuove. Anche se
questo significa vedere un rapper interpretare Califano con
la credibilità di un venditore di gelati al Polo Nord.
In fondo, come ogni anno, la serata delle cover ci ricorda
che Sanremo è Sanremo: un magnifico circo dove l'eccesso
è la norma, dove il cattivo gusto può trasformarsi in cult e
dove, tra una stonatura e l'altra - e qualche problema
tecnico di troppo - si nasconde sempre qualche momento di
autentica magia. La serata cover, come ogni paradosso
possibile, è stata vinta da Skyfall, pezzo straniero di Adele,
cantato da Giorgia insieme con Annalisa.