In Italia, sembra che basti un gesto, un braccio alzato durante una cerimonia, per scatenare un’ondata di allarmi e accuse sul “ritorno del fascismo”. È accaduto a Cagliari, il 4 novembre, durante le celebrazioni per il Giorno dell’Unità Nazionale. Un uomo, in mezzo alla folla, ha fatto il saluto romano mentre la Brigata Sassari suonava l’Inno di Mameli. Gesto discutibile, certo, ma ciò che fa riflettere è il clamore mediatico e le polemiche che ne sono seguite, nonché le accuse rivolte alle forze dell’ordine per non aver fermato l’uomo sul posto.
È il caso di chiedersi: davvero basta questo per evocare lo spettro di un regime che è finito da quasi ottant’anni? Davvero possiamo ridurre il concetto di fascismo a un singolo gesto, ignorando che la dittatura è stata un sistema di oppressione, un apparato complesso, fatto di leggi, censure, violenze istituzionalizzate? La realtà è che il fascismo è molto più di un simbolo o di un saluto.
Continuare a gridare al ritorno del fascismo per episodi del genere non fa altro che distogliere l’attenzione dai veri problemi della nostra democrazia. Il rischio è che, inflazionando il termine “fascismo”, se ne svilisca il significato. Oggi, gridare al “pericolo fascista” ogni volta che si assiste a un gesto nostalgico rischia di trasformarsi in un atto sterile, un richiamo che perde efficacia. Di fronte alle sfide reali, al malcontento, alle disuguaglianze che spingono le persone alla sfiducia nelle istituzioni, soffermarsi su un singolo saluto può sembrare quasi una fuga dalla realtà.
Questo non significa ignorare il peso storico di certi simboli, ma ridimensionarli nel loro contesto attuale. L’Italia è oggi una democrazia stabile, con istituzioni che – piaccia o meno – garantiscono libertà di espressione e tutela dei diritti. Pensare che un singolo gesto possa minacciare queste fondamenta è una semplificazione. È importante ricordare che un paese maturo non si lascia turbare da manifestazioni isolate, ma investe nell’educazione e nella consapevolezza storica.
Abbiamo il dovere di insegnare cosa fu il fascismo, ma anche di distinguere tra il passato e il presente. Un’Italia ossessionata dalla caccia ai simboli è un’Italia che rischia di perdere di vista ciò che davvero conta: i valori di una democrazia che non teme un braccio alzato, ma si preoccupa piuttosto di garantire giustizia, uguaglianza e diritti a tutti i suoi cittadini.