Con il giuramento del 20 gennaio 2017, Donald J. Trump inaugurava una presidenza destinata a scuotere profondamente gli Stati Uniti e il mondo. Davanti a una folla oceanica, con sostenitori entusiasti e contestatori altrettanto determinati, Trump pronunciò un discorso inaugurale che fece subito capire a tutti che non sarebbe stato un presidente come gli altri. Con il suo stile diretto, dichiarò che l’America avrebbe finalmente rimesso se stessa al primo posto, chiudendo un’era di globalizzazione incontrollata e compromessi diplomatici che, secondo lui, avevano impoverito il popolo americano. Le sue parole risuonavano come un manifesto di rottura: non più politiche di accomodamento, ma scelte nette in favore dell’interesse nazionale.
I primi mesi del suo mandato furono tutt’altro che ordinari. Trump iniziò a imprimere il suo marchio con ordini esecutivi che lasciarono pochi dubbi sulle sue intenzioni.
Tra i più discussi, il cosiddetto travel ban, che limitava l’ingresso negli Stati Uniti a cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana. La misura scatenò proteste in patria e all’estero, ma rafforzò il consenso della sua base elettorale, che lo vedeva come un leader deciso a mantenere le promesse fatte in campagna elettorale. Trump non cercava di piacere a tutti: voleva piacere ai suoi sostenitori. Questo approccio, se da un lato consolidava il suo consenso interno, dall’altro allarmava gli alleati storici degli Stati Uniti, costretti a ricalibrare i rapporti con una Casa Bianca meno prevedibile.
Sul fronte economico, la filosofia di Trump si tradusse in azioni immediate. Ritirò gli Stati Uniti dal TPP, l’accordo di libero scambio transpacifico, e annunciò una revisione del NAFTA, accusando il Messico di approfittarsi del lavoro americano. Il suo protezionismo non era solo economico, ma culturale: voleva rilanciare l’orgoglio di un’America produttiva, autosufficiente, che guardava con sospetto alle catene globali di approvvigionamento. Per molti elettori del Midwest industriale, queste azioni rappresentavano esattamente ciò che avevano sperato. Tuttavia, la comunità internazionale, inclusa l’Europa, iniziò a percepire un’America più chiusa e meno disposta a collaborare.
L’impatto sulle relazioni internazionali fu immediato. Trump non esitò a criticare la NATO, definendola “obsoleta” e chiedendo agli alleati europei di aumentare il loro contributo alle spese per la difesa. Fu una scossa per l’Europa, che da decenni considerava l’Alleanza Atlantica un pilastro intoccabile.
L’Italia, pur restando fedele ai propri impegni internazionali, si trovò costretta a rivedere le modalità di dialogo con un partner americano meno interessato al multilateralismo e più concentrato sugli interessi diretti.
Ma il vero bersaglio di Trump fu la Cina. Fin dai primi mesi, l’amministrazione mise in chiaro che avrebbe adottato una linea dura contro Pechino, accusata di pratiche commerciali scorrette e furto di proprietà intellettuale. Questo approccio inaugurò una tensione che avrebbe segnato l’intero mandato e che influenzò profondamente l’economia globale. L’Europa osservava con preoccupazione, consapevole che uno scontro tra le due superpotenze avrebbe avuto ripercussioni dirette anche sui suoi mercati.
Per l’Italia, i primi passi di Trump furono un misto di curiosità e timore. Da un lato, la sua retorica sovranista trovava eco in alcune correnti politiche; dall’altro, il protezionismo rischiava di colpire settori chiave come l’agroalimentare e la moda, fondamentali per le esportazioni italiane. Tuttavia, il governo italiano cercò di mantenere un dialogo aperto, puntando su temi come la sicurezza e la lotta al terrorismo, due priorità condivise con l’amministrazione Trump.
I primi mesi della presidenza Trump furono una vera e propria dichiarazione di guerra al sistema tradizionale. Con la sua determinazione a mettere in discussione alleanze storiche, regole consolidate e perfino il linguaggio istituzionale, Trump dimostrò che la sua era non sarebbe stata una parentesi, ma un’epoca di trasformazione. Nel prossimo articolo, analizzeremo come la sua amministrazione abbia gestito i grandi temi dell’immigrazione e delle relazioni con la Russia, gettando le basi per la visione di un’America sovrana, forte e, soprattutto, al primo posto.