Lavorare gratis è una contraddizione che si paga cara, sempre. Non si tratta solo di soldi, ma di un principio fondamentale: ciò che non ha prezzo agli occhi di chi lo riceve non ha valore. Offrire un servizio gratuitamente, anche con le migliori intenzioni, svilisce l’atto stesso del lavorare, declassandolo da competenza a gesto insignificante. La verità, cruda e tagliente, è che il lavoro gratuito non genera gratitudine, bensì indifferenza.
Siamo immersi in una cultura che celebra il dono, il favore, il gesto gratuito come la vetta dell'altruismo. Nulla di più sbagliato. Chi riceve senza pagare non sviluppa un senso di debito, ma casomai di pretesa. È il meccanismo delle offerte senza prezzo: l’altro le accoglie senza soppesarle, come se gli spettassero di diritto. Ed è così che la qualità del lavoro si dissolve, fagocitata da un meccanismo che toglie valore a ciò che, invece, dovrebbe costare.
A chi va riservato, allora, il privilegio di non pagare? Agli indigenti, le cui difficoltà economiche impediscono un contributo, e agli amici più stretti, per i quali il gesto gratuito è un investimento nelle relazioni, non un atto di servilismo. Ma fuori da queste eccezioni, la regola deve essere ferrea: ogni servizio ha un costo, ogni competenza un prezzo.
Guardiamo agli Stati Uniti, dove la cultura del lavoro e del compenso è ferrea, quasi spietata.
Chi lavora gratis, lì, non è visto come generoso ma come inconsistente. È la legge del mercato, che può sembrare brutale, ma che alla lunga protegge il lavoratore e il suo valore. In Italia, invece, si tende a confondere l’altruismo con la svalutazione, con il risultato che interi settori – dalla cultura alla consulenza – finiscono per soffocare sotto il peso del “lo faccio per favore”.
Ecco il punto cruciale: il lavoro, per essere rispettato, deve essere pagato. Sempre. Non si tratta di avidità, ma di sopravvivenza del rispetto per chi produce valore. Solo quando la società comprenderà che ogni competenza ha un prezzo, si potrà finalmente dire addio al paradosso di un lavoro che, gratuito, non vale nulla. In fondo chi lavora gratis alla fine la paga, sempre.