Li hanno chiusi in un sacco, come spazzatura. Li hanno lanciati da un ponte, con la disinvoltura di chi si libera di un peso inutile. Sette cuccioli di pastore maremmano, piccoli esseri che non conoscevano altro che il mondo buio di quel sacco, hanno trovato il coraggio di farsi sentire. È stato il loro pianto, un lamento fragile e disperato, a salvarli. E la loro fortuna – se così si può chiamare – è stata la casualità di un albero che ha fermato la loro caduta.
A Fordongianus la crudeltà ha mostrato ancora una volta il suo volto. I rami di quell’albero hanno impedito che l’ennesimo atto vile si concludesse nel silenzio di una morte anonima. Un passante, forse incuriosito dal rumore, forse dotato di quella sensibilità che oggi appare sempre più rara, ha alzato gli occhi e ha visto il sacco penzolare, come una lugubre decorazione nel vuoto.
Sono intervenuti gli uomini del Corpo Forestale, quelli della stazione di Villaurbana, e in questa storia nera si sono trasformati in eroi senza mantello. Hanno recuperato i cuccioli, li hanno messi al sicuro, strappandoli a un destino di sofferenza. Quei piccoli corpi tremanti, ignari del perché qualcuno avesse deciso che non meritavano di vivere, hanno trovato un primo rifugio.
Ora sono stati affidati al Comune di Fordongianus, in attesa che mani gentili si facciano avanti, pronte ad accoglierli e a offrire loro una nuova casa.
Ma resta una domanda che brucia: che razza di uomo bisogna essere per ridurre la vita a un sacco lanciato nel vuoto? Non ci sono giustificazioni, né scuse. C’è solo la consapevolezza che, finché esisteranno individui capaci di gesti così spregevoli, sarà la società intera a essere colpevole. Colpevole di non insegnare rispetto, di non educare alla pietà.
Eppure, nella loro piccolezza, questi cuccioli ci hanno dato una lezione: hanno gridato per la vita, e hanno vinto. Resta a noi il compito di ascoltare, di capire che ogni voce, anche la più debole, merita di essere difesa.