Ci hanno tolto tutto: la lira, l’orgoglio e perfino la domenica libera. Ora si prendono pure la caffettiera. Già, cari lettori, la gloriosa Bialetti — quella con l’omino baffuto che campeggia da decenni nelle nostre cucine — passa di mano, anzi di bacchetta: la Cina, ancora una volta, mette il cappello su un’icona italiana.
La Nuo Capital, fondo lussemburghese con soldi orientali, ha acquistato il 78,567% di Bialetti. Così, tra un contratto e una firma, un altro pezzo del nostro Made in Italy finisce nel grande tritacarne della finanza internazionale. L’accordo prevede OPA e delisting: tradotto in volgare, significa che la Bialetti sparirà anche dalla Borsa. E come ogni buona storia italiana, tutto avverrà con garbo, entro giugno. Alla faccia dei sentimenti.
Ci diranno che è un affare. Che grazie a questa operazione si rifinanzia il debito, si rilancia l’azienda, si dà ossigeno al mercato. Bene. Ma a quale prezzo? Perché, piaccia o no, Bialetti è cultura. È infanzia. È la nonna che grida “Vieni che è pronto il caffè!”. È la moka sbuffante sul fornello. È identità.
E invece, oggi, la svendiamo per 47 milioni da una parte e 5 dall’altra. In tutto, una manciata di spiccioli in confronto al valore simbolico che porta con sé. Perché dietro il business ci sono storie, famiglie, operai. E anche un po’ di anima, se non dispiace dirlo.
Mi si dirà che i cinesi non sono scemi e anzi sono buoni imprenditori. Che investono, producono, rilanciano. Sarà. Ma resta il fatto che l’Italia, quella vera, non compra più: vende. È diventata una terra da conquistare, e noi cittadini, da soggetti protagonisti, siamo ridotti a spettatori della liquidazione permanente.
Un tempo esportavamo cultura, oggi svendiamo marchi. E nel farlo neanche ci indigniamo più. Un tempo ci arrabbiavamo, adesso applaudiamo se ci sistemano il bilancio aziendale. E magari brindiamo pure. Con il caffè, ovvio. Magari versato da una moka che profuma di spezie orientali più che di torrefazione italiana.
La Bialetti va ai cinesi. E noi? Beviamo e stiamo zitti. Come sempre.